Tutta colpa di Ba.5, per gli amici (si fa per dire) «omicron 5». È questa la variante emergente che spinge all’insù il numero dei casi positivi al coronavirus. Secondo l’ultima indagine sulle varianti realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla fondazione «Bruno Kessler» di Trento, pubblicata venerdì ma riferita al 7 giugno, la quota di omicron 5 è salita in un mese dallo 0,4% al 23%. Cresce anche la «sorellina» Ba.4, salita da zero virgola all’11% nello stesso periodo. Oggi potrebbero essere già maggioritarie e con tutta probabilità la diffusione di queste nuove varianti spiega la risalita dei casi delle ultime tre settimane. Il virus si sta espandendo più rapidamente nelle isole e nel centro-Italia.

L’incidenza del virus ha superato i 35 mila nuovi casi giornalieri in media settimanale, oltre il doppio rispetto al minimo toccato alla fine di maggio. Ieri i casi sono stati quasi 63 mila, con 62 decessi. Bisogna tornare alla mini-ondata di aprile per trovarne altrettanti in ventiquattr’ore. Non crescono solo i casi asintomatici ma anche i ricoveri, che hanno invertito un trend al ribasso che durava da oltre due mesi. L’impatto delle nuove varianti inizia a vedersi anche sul numero di positivi in terapia intensiva, salito del 12% nell’ultima settimana. In assoluto, però, si tratta di numeri non preoccupanti: i pazienti più gravi oggi sono 206, un numero lontanissimo dal picco di circa quattromila ricoverati in rianimazione toccato nei momenti di massima emergenza. L’aumento dei casi più gravi non è da imputare a una maggiore virulenza della variante, secondo gli esperti.

Se è presto per parlare di «ondata» – un’evenienza che tutti si attendono per l’autunno, quando si tornerà a trascorrere più tempo in ambienti chiusi – ce n’è però abbastanza per non derubricare i grafici degli ultimi giorni come semplici fluttuazioni statistiche. Anche perché la sensazione sul campo è che i casi ufficialmente registrati siano la punta dell’iceberg. Il numero di tamponi effettuati giornalmente nelle Asl e nelle farmacie è calato da oltre un milione (inizio 2022) a due-trecentomila, cosicché quelli positivi rappresentano il 20% del totale. Un tasso di positività così elevato, secondo le autorità sanitarie internazionali, indica una bassa capacità di monitoraggio del virus. Quanti test si facciano a casa – fuori dalle statistiche ufficiali – non lo sa nessuno.

A dispetto di nomi e nomignoli, la variante Ba.5 non rappresenta una delle tante «cugine» di Omicron, il ceppo che ha fatto esplodere i casi fino a contagiare mezza Italia in pochi mesi (senza creare sconquassi negli ospedali). Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie «Ba.4 e Ba.5 sono antigenicamente distanti dal virus originale e, rispetto a Ba.1 e Ba.2 (le prime varianti omicron, ndr) sono meno efficacemente neutralizzate dai sieri di individui vaccinati con tre dosi o contagiati da Ba.1». In altre parole, le varianti omicron 4 e 5 sono in grado di aggirare i vaccini e l’immunità acquisita meglio di quelle precedenti.

Anche i dati Iss lo confermano: «Nell’ultima settimana – si legge nell’ultimo rapporto – la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati risulta pari a 7,4%, in aumento rispetto alla settimana precedente (6,3%)». Anche l’allentamento delle misure di prevenzione pesa sull’aumento dei contagi, anche se nessuno sa quantificarne l’impatto. Uno stress test per il nuovo regime è fissato per oggi, con la prima prova scritta dell’esame di maturità per mezzo milione di studenti: il primo in presenza e senza mascherine obbligatorie dal 2019.