Covid nella Marina Usa ma Trump pensa alla guerra all’Iran
Golfo Si diffonde il contagio tra i marinai statunitensi. Eppure il presidente americano non allenta la pressione su Tehran e dispiega i missili Patriot in Iraq
Golfo Si diffonde il contagio tra i marinai statunitensi. Eppure il presidente americano non allenta la pressione su Tehran e dispiega i missili Patriot in Iraq
Brett Crozier è uscito dalla USS Roosevelt tra gli applausi di centinaia di marinai. «Capitano Crozier, Capitano Crozier» hanno scandito rivolgendosi all’ufficiale che con largo anticipo aveva messo in guardia i comandi militari sui rischi per l’intero equipaggio della portaerei dove poi si sono registrati decine di casi positivi al coronavirus. Invece giovedì Crozier è stato messo alla porta dopo aver scritto una lettera, finita poi alla stampa, in cui emerge che da tempo chiedeva aiuti immediati per la Roosevelt, con grave imbarazzo per i suoi superiori insensibili, almeno inizialmente, alla gravità della situazione. A nulla sono servite le 66mila firme su Change.org per reintegrare Crozier nel suo incarico. Il Sottosegretario alla Marina Thomas Modly ha addossato ogni responsabilità proprio al capitano che, a suo dire, non avrebbe tutelato con professionalità la salute dei marinai.
L’infezione corre tra i militari statunitensi. E ogni giorno si segnalano nuovi positivi nella Marina fiore all’occhiello degli apparati bellici agli ordini di Donald Trump. Sulle navi, dove i marinai dormono e lavorano insieme in spazi ristretti, il virus si diffonde come un incendio. Eppure il presidente americano, nonostante il pericolo del Covid-19, non intende allentare la pressione che la Marina Usa esercita in alcune aree del mondo. A cominciare dal Golfo dove la possibilità di un conflitto con l’Iran è tornata a farsi concreta in questi ultimi giorni. E difficilmente gli Usa seguiranno i paesi europei che, dimenticando le sanzioni, hanno deciso di inviare a Tehran aiuti in un momento decisivo per la lotta al virus che in Iran ha già fatto migliaia di morti. Qualche segnale nella stessa direzione era stato lanciato nei giorni scorsi anche dal segretario di stato Mike Pompeo ma poi non se ne è saputo più niente. Quello che è certo al momento è che le squadre navali che si alternano nelle operazioni nel Golfo, a breve distanza dalle coste iraniane, sono di nuovo in stato di allerta.
Secondo la Casa Bianca, l’Iran e le milizie sciite alleate starebbero pianificando un attacco in grande stile contro le forze militari e il personale statunitense di stanza in Iraq. «Se ciò accadrà, l’Iran pagherà un prezzo altissimo», ha avvertito Trump che, riferiscono fonti irachene e Usa, ha dato ordine di dispiegare batterie di missili Patriot intorno alle basi della coalizione a guida americana che operano in Iraq e nella regione, ufficialmente contro l’Isis. Una delle batterie è stata consegnata alla base di Ain al Asad, nell’Iraq occidentale, colpita dall’attacco con razzi lanciato a gennaio dall’Iran in seguito all’assassinio mirato del generale dei Guardiani della rivoluzione iraniana Qasem Soleimani, in un raid statunitense nei pressi dell’aeroporto di Baghdad. Una seconda batteria sarà assemblata a Erbil, nel Kurdistan iracheno, e altre due in Kuwait. Nel frattempo a Washington si dicono convinti che dietro l’uccisione a Istanbul, il 14 novembre 2019, del dissidente iraniano Masoud Molavi Vardanjani si celi l’intelligence di Tehran. Per gli Usa sarebbe un’altra «dimostrazione» dei crimini che commetterebbe l’Iran.
Tehran condanna il dispiegamento dei Patriot e accusa Trump di portare il Medio Oriente «al disastro» mentre infuria la pandemia di coronavirus. Più di tutto respinge la tesi statunitense di essere dietro gli ultimi attacchi con razzi delle milizie sciite contro basi e postazioni americane in Iraq. Il motivo vero degli attacchi, spiegano gli iraniani, è che la presenza degli Stati Uniti in Iraq è «contraria alla posizione ufficiale del governo, del parlamento e del popolo iracheno». Washington quindi deve «lasciare il paese». Secondo il ministro degli esteri, Mohammad Javad Zarif, l’Iran agisce solo per legittima difesa e «non ha proxies, ma amici…Non lasciatevi ingannare di nuovo dai soliti guerrafondai». Naturalmente l’Iran non è l’agenzia umanitaria e pacifista che racconta Zarif. Tuttavia è arduo credere che Tehran cerchi una guerra aperta con gli Usa mentre fatica a contenere una epidemia gravissima che, tra le altre cose, ha causato il crollo del prezzo del petrolio e penalizzato ulteriormente l’economia già colpita dalle sanzioni Usa, aggravate anche di recente.
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