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Costituzione, dal 5 marzo sarà un assedio su tre fronti

Costituzione, dal 5 marzo sarà un assedio su tre frontiRenzi – LaPresse

Ci sono due modi per celebrare i settant’anni della nostra Costituzione. Il primo è quello di guardare al passato, rivendicando i tanti meriti e successi della Carta costituzionale, soprattutto per […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 3 gennaio 2018

Ci sono due modi per celebrare i settant’anni della nostra Costituzione.

Il primo è quello di guardare al passato, rivendicando i tanti meriti e successi della Carta costituzionale, soprattutto per aver favorito il consolidamento di una democrazia gracile quale era quella italiana alla fine del secondo conflitto mondiale.

È la strada che hanno deciso di percorrere molti commentatori nelle ultime settimane, compresi quelli che, paradossalmente, più si sono adoperati per l’approvazione di una riforma che, se non ci fosse stato l’argine referendario del 4 dicembre, avrebbe finito per deformare l’impianto e lo spirito della Costituzione.

Il secondo modo, che è quello che preferisco, guarda invece al futuro, cioè ai prossimi settant’anni, e soprattutto cerca di interrogarsi sui pericoli che già si intravedono nel nostro orizzonte costituzionale.

Naturalmente, sono pericoli diversi, sia per i tempi nei quali si presenteranno sia per gli attori che se ne faranno più o meno espliciti portavoce.

Tanto per semplificare, direi che sono tre, ad oggi, le minacce più preoccupanti che meritano di essere prese in seria considerazione.

La prima minaccia prevede, ancora una volta, un attacco diretto e frontale alla Costituzione.

Nei giorni scorsi, hanno già iniziato a scaldare i motori i diversi sostenitori di una nuova Assemblea costituente, che avrebbe il compito – si presume – di riscrivere ex novo le fondamenta del nostro patto costituzionale, delegittimando del tutto la Carta del 1948.

Al contempo, è tornato a far capolino lo spettro mai del tutto sopito del presidenzialismo, dell’uomo forte e solo al comando che, in virtù dei suoi poteri straordinari, sappia contrastare le mancanze e le indecisioni della classe politica.

Basterà aspettare il 5 marzo per vedere tornare alla carica del nostro parlamentarismo i sostenitori dell’ipotesi presidenzialista, sempre convinti di poter risolvere per via istituzionale problemi e questioni che sono solo e soltanto squisitamente politici.

La seconda minaccia alla nostra Costituzione è più indiretta rispetto alla prima, ma non per questo meno preoccupante. Non si tratta in questo caso di riscrivere un intero pacchetto di articoli costituzionali. È un’operazione più silenziosa e più subdola. Qui, l’obiettivo è di giocare furbescamente sull’interpretazione dei princìpi democratici per svuotarli progressivamente di significato.

È il caso, tanto per intenderci, dei vincoli posti all’esercizio della rappresentanza parlamentare attraverso sanzioni pecuniarie (o di altro genere) per chi trasgredisce le regole del proprio gruppo in parlamento. Anche se non sempre viene nominato, l’attacco è chiaramente rivolto a uno dei capisaldi della rappresentanza liberaldemocratica: il divieto di mandato imperativo stampato nell’articolo 67 della Costituzione.

Infine, la terza minaccia alla quale dovrà far fronte la nostra carta fondamentale non agisce quasi mai allo scoperto, ma opera attraverso una progressiva e sotterranea divaricazione tra i diritti di ordine civile e politico, e i diritti sociali.

Uno dei grandi meriti dei nostri Padri costituenti fu esattamente quello di far camminare assieme, in un unico corpo giuridico, i diritti del lavoro con quelli di cittadinanza. E, se i secondi sono una premessa dei primi, è pur sempre vero che i diritti sociali restano – per usare le parole di Norberto Bobbio – la «precondizione di un effettivo esercizio dei diritti di libertà».

Oggi questa precondizione sta lentamente venendo meno, come dimostrano i tanti segnali di malessere inviati dai cittadini dei paesi democratici. Il rischio è dunque di ritrovarci con una Costituzione zoppa, che si regge (finché può) solo su una gamba.

Però, sbaglieremmo a pensare che il rimedio a questa condizione si trovi in una ulteriore «attuazione» della Costituzione oppure in una sua radicale trasformazione.

La soluzione non si trova più dentro il perimetro delle nostre regole costituzionali, ma va cercata, pretesa e conquistata nel contesto dell’Europa.

Per questo il miglior augurio che si possa fare alla Costituzione italiana è che lo spirito lungimirante con cui fu scritta settant’anni fa possa un giorno soffiare all’interno di una Costituzione europea.

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