Il detenuto Alfredo Cospito resta al 41 bis. Lo ha stabilito il Tribunale di sorveglianza di Roma che non ha condiviso il parere favorevole alla revoca del regime di “carcere duro”, cui l’anarchico è sottoposto da 17 mesi, espresso dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) e da alcuni organi di polizia durante la precedente udienza. Per i magistrati di Sorveglianza il 57enne pescarese, recluso nel carcere di Sassari dove sta scontando una condanna a 23 anni per «strage» in relazione all’attentato dinamitardo commesso nel 2006 contro la Scuola allievi carabinieri di Fossano, ha dimostrato di avere ancora un’«estrema pericolosità» di infuocare «gli animi delle formazioni anarchiche». E lo ha fatto proprio con la «clamorosa» iniziativa dello sciopero della fame durata sei mesi (dall’ottobre 2022 all’aprile 2023), che ha peraltro bucato il silenzio stampa di solito riservato ai tanti detenuti che intraprendono questo tipo di proteste, perfino quando ne rimangono vittime.

È convinzione dei giudici romani infatti che quell’iniziativa dalla grande eco mediatica «soprattutto lo abbia reso figura di ancora maggior carisma all’interno del sodalizio». «È un soggetto che ha dimostrato particolare determinazione – scrivono – e per questo viene rispettato dai suoi sodali. Qualsiasi strategia programmatica degli obiettivi da colpire, in un ambito associativo che propugna espressamente il metodo della lotta armata o l’avallo di azioni violente sono considerati nel suo contesto eversivo autorevoli ed insindacabili».

Un passo evidenziato dal Tribunale, «a riprova dell’irriducibilità» di Cospito che non ha «lesinato sforzi per proseguire la sua attività di istigazione alla violenza terroristica», è un suo contributo all’assemblea anarchica del 9 giugno 2019 a Bologna quando l’uomo – che allora stava scontando la pena per la gambizzazione dell’Ad di Ansaldo, Roberto Adinolfi – scrisse: «La rivoluzione la può fare chi ha il diavolo in corpo e chi ha il diavolo in corpo non ha paura della parola terrorismo e non sarà certo la spada di Damocle del 41 bis sospeso sopra la mia testa a farmi cambiare idea, a farmi tacere».

Secondo il Tribunale romano, inoltre, anche lo stesso parere della Dna offrirebbe elementi di «incoerenza»: infatti dalle carte processuali, si legge nel provvedimento depositato ieri, «non emergono elementi concreti che possano giustificare una rivalutazione delle condizioni di legittimità» del 41 bis. «Semmai è dato rinvenire negli stessi pareri della Dna plurimi elementi di segno contrario attestanti l’estrema pericolosità» dell’anarchico considerato l’ideologo del Fai-Fri. Ecco perché, secondo il Tribunale, «non appaiono coerenti le conclusioni a cui è pervenuta la Dna secondo cui dalla molteplicità dei canali decisionali si evincerebbe una ridotta pericolosità del Cospito, che invece è descritto come figura di vertice del movimento come desunto dalla stessa Dna attraverso il richiamo testuale della nota Direttore centrale della Polizia di prevenzione».

Un giudizio contestato dal difensore di Cospito, l’avvocato Flavio Rossi Albertini, che ribatte: «Il Procuratore nazionale, i 20 sostituti procuratori nazionali, la sua sezione specializzata nell’antiterrorismo, gli organi centrali di polizia, si mostrerebbero superficiali nel giudizio espresso di non più attualità delle condizioni legittimanti il regime speciale di 41 bis». In sostanza, obietta il legale, il Tribunale di Sorveglianza di Roma criticando la Dna si sostituisce agli organi investigativi. «Ad ognuno le sue valutazioni», conclude.