Così «Lo scudo e la spada» ha ispirato il giovane Putin
Russia Dagli «sceneggiati» di avventura e spionaggio passando per la versione russa di Homeland, fino ad arrivare a Trotsky prodotta dal nuovo re delle serie made in Russia
Russia Dagli «sceneggiati» di avventura e spionaggio passando per la versione russa di Homeland, fino ad arrivare a Trotsky prodotta dal nuovo re delle serie made in Russia
È cominciato tutto con Shchit e Mech, che in italiano vuol dire «Lo scudo e la spada», come l’emblema dei servizi segreti: quattro film in onda a partire dal 1968, quattro storie di avventura e di spionaggio accadute durante la guerra lungo il confine fra la Germania di Hitler e le Repubbliche sovietiche.
Per dirigere i lavori l’istituto Mosfilm chiamò Vladimir Basov, quel che si dice un fedele servitore del comunismo. Basov era nato nel ’23 dalle parti di Belgorod in una famiglia di bolscevichi, aveva combattuto contro i nazisti guadagnandosi sul campo l’Ordine della Stella Rossa, e si era dedicato al cinema una volta tornato alla vita civile prima da attore e poi da regista.
Per capire quale impatto abbia avuto «Lo scudo e la spada» su quella generazione di russi, basti pensare che il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha raccontato più volte di avere deciso d’arruolarsi nei ranghi del Kgb dopo avere seguito gli episodi della serie.
Uno in particolare raccontava lo scambio di prigionieri avvenuto nel 1962 sul ponte Glenicke di Berlino fra l’agente russo Rudolf Abel e il pilota statunitense Francis Gary Powers, quella che in occidente è passata alla storia come la crisi dell’U2, e che il regista Steven Spielberg ha ricostruito di recente nel suo famoso film «Il ponte delle spie». Basov aveva disegnato il suo protagonista sulle misure del comandante Yuri Drozdov, nome in codice Vympel, ovvero «vessillo», destinato a diventare un simbolo dell’audacia sovietica. Dopo gli incarichi sotto copertura a Berlino, Pechino e New York, Vympel avrebbe guidato nel «79 la presa del Palazzo Tajbeg a Kabul e più tardi sarebbe divenuto il faro delle unità illegali infiltrate all’estero. Insomma, «un esempio di devozione senza riserve alla patria», come ha detto Putin l’anno scorso, il giorno in cui Drozdov ha lasciato questa terra.
Il genere uniforme e patriottismo tira ancora gli ascolti alla televisione russa, anche se l’Unione sovietica è finita e il Kgb ha cambiato nome. Per un paio d’anni è stata campione di ascolti la serie militaresca Rodina («Nazione»), liberamente ispirata all’americana Homeland. Il protagonista è un colonnello dell’esercito, Alexei Bragin, liberato dalle Squadre Alfa dopo tre anni di prigionia fra le montagne della Cecenia.
Di nuovo a Mosca Bragin torna al lavoro con i servizi segreti, che si chiamano a quel punto Fsb, e lì incontra la collega Anna Zimina, una esperta di antiterrorismo innamorata quanto sospettosa: forse il colonnello s’è convertito alla dottrina stragista dei ceceni durante il periodo passato con il loro leader, di nome Bin Jalid e in tal caso le forze di sicurezza a Mosca avrebbero un enorme problema del quale occuparsi dentro il loro quartier generale, nel palazzo della Lubyanka, a poche centinaia di metri dalle sale luminose del Cremlino e dal Mausoleo di Lenin, il monumento più discusso del paese, che rischia di saltare in aria nella parte finale della prima serie, ma poi si salva miracolosamente.
L’altro grosso filone che avanza con successo sulla tv russa è quello storico, lo dimostrano i record raggiunti lo scorso autunno dalla serie intitolata Trotsky. I registi Alexander Kott e Konstantin Statsky hanno ambientato le prime scene in Messico, in uno dei rifugi che l’avversario di Stalin aveva scelto per il suo esilio.
È lì che Trotsky comincia a dettare le sue memorie a un giornalista canadese che ha accettato di raggiungerlo per aiutarlo nella sua ultime missione: convincere il mondo che il vero nemico è lo stalinismo. Quella che Kott e Statsky descrivono nel loro lavoro non è soltanto una vittima eccellente delle purghe avvenute fra gli anni Trenta e Quaranta, bensì un uomo ossessionato dal potere e dai sogni di Freud, dagli eventi del 1917 e dagli spettri della famiglia reale.
Così il ritratto televisivo di Trotsky a un secolo esatto dall’epoca dei fatti ha sollevato le proteste del Partito rivoluzionario dei lavoratori, che ha visto nella seria «un chiaro attacco alla nostra piattaforma con il solo obiettivo di santificare il georgiano», che poi sarebbe Stalin, e ha anche convinto alcuni a ritenere che il vero obiettivo della ricostruzione non fosse esattamente Trotsky, bensì un leader politico contemporaneo come Alexei Navalny. «Il messaggio per i giovani russi appare chiaro: il vostro Navalny sarà anche carismatico e parlerà bene, ma ricordate che potrebbe essere anche selvaggio, distruttivo e anti patriottico proprio come si è rivelato Trotsky«, ha detto in una intervista Alexander Rezik dell’Università economica di Mosca.
Il produttore di Trotsky, Alexander Tsekalo, nato a Kiev nel 1961, è considerato oggi il re delle serie tv russe. Negli ultimi anni la sua casa cinematografica Sreda è riuscita a piazzarne cinque sulla piattaforma Netflix. La più interessante s’intitola Metod e racconta la doppia vita sulle strade di Mosca di Rodio Meglin, detective di giorno e e vigilantes di notte.
La più longeva è, invece, Silver Spoon, sulle lotte di potere nei clan degli oligarchi e tiene migliaia di russi incollati al televisore ormai da quattro anni.
«Alcuni anni fa c’era la moda delle serie tv scandinave. Poi è stata la volta di quelle israeliane. Non vi meravigliate se d’ora in avanti dovesse cominciare l’era delle nostre produzioni», ha detto Tsekalo in una intervista.
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