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Così il governo contraddice se stesso e acconsente al peggior populismo penale

Così il governo contraddice se stesso e acconsente al peggior populismo penaleAlfano e Renzi sui banchi del governo – Lapresse

Legge delega sulla giustizia Dopo una serie di misure ragionevoli e razionali in materia penitenziaria e penale, e dopo gli stati generali sulla giustizia, il governo si smentisce e cede alle pulsioni simboliche più repressive

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 18 settembre 2015
Patrizio Gonnellapresidente Antigone

Barack Obama annuncia una riforma della giustizia penale diretta a ridurre le asperità e le durezze del passato e per dimostrare discontinuità grazia alcuni detenuti. E mentre papa Francesco chiede l’amnistia in vista del Giubileo il nostro Parlamento, fuori tempo massimo e fuori luogo, in questi giorni è tornato a essere vittima di un’antica e pericolosa malattia infettiva che si chiama «populismo penale».

Si sta discutendo un disegno di legge delega governativo che dovrebbe riformare molte parti del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario e se ne sentono di tutti i colori. I resoconti stenografici della Camera fanno rabbrividire.

La legge penitenziaria italiana ha quarant’anni di vita. Nasce insieme a «Born to run» di Bruce Springsteen. Nati per fuggire. Come i detenuti nello slang penitenziario, che sono «camosci», dunque nati per fuggire.

La sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani del 2013 ci ha messo con le spalle al muro: il nostro sistema penitenziario violava sistematicamente la dignità umana. Oggi i detenuti sono diminuiti di 15 mila unità grazie a una serie di misure ragionevoli e razionali messe in campo. Alcune delle proposte presenti nella legge delega, in combinazione con il lavoro degli Stati generali voluti dal ministero della Giustizia, sfruttando la circostanza del minore affollamento, intenderebbero da un lato modernizzare il sistema penitenziario (si pensi alle norme specifiche per i bisogni educativi dei minori, al diritto alla sessualità, al riconoscimento dei bisogni linguistici, sociali, culturali dei detenuti stranieri) e dall’altro estendere l’applicazione delle misure alternative alla detenzione.

In questo senso si spiega la norma diretta a togliere qualche paletto alla concessione dei benefici per quella gran massa di detenuti a cui i benefici stessi sarebbero concessi solo nel caso in cui decidano di collaborare con la giustizia. In tal modo verrebbe finalmente superato quell’obbrobrio giuridico che è l’«ergastolo ostativo», ovvero l’ergastolo senza prospettiva di rilascio. La Corte di Strasburgo in un caso riguardante l’Inghilterra lo ha espressamente stigmatizzato.

Invece si è riaperto il dibattito in modo feroce.

Mafiosi in libertà, hanno titolato a destra e manca. In Italia oggi vi sono circa 1.600 ergastolani. Non è vero che l’ergastolo non esiste. Ora quella norma sacrosanta che avrebbe favorito il superamento dell’«ergastolo ostativo» – norma che faceva parte della proposta originaria del Governo – rischia di essere annacquata se non addirittura ritirata. Sarebbe un atto di debolezza, una sconfitta. Si guardi a Obama o a papa Francesco, non a Travaglio o a Salvini.

Il disegno di legge delega è diventato un treno su cui salire. Sono stati presentati emendamenti e sub-emendamenti di tutti i tipi, anche da parte dello stesso governo che l’ha presentato. Così se da un lato si vuole giustamente modernizzare il sistema penitenziario, dall’altro lo stesso governo ha aperto la stura ai peggiori sentimenti proponendo un aumento di pena per taluni reati contro il patrimonio. Il disegno di legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario rischia dunque di trasformarsi in un disegno di legge helzapoppin con dentro norme rispondenti a filosofie opposte: da un lato più attenzione ai diritti delle persone sotto processo e detenute, dall’altro più carcere per tutti. Su molti temi (durata delle indagini, intercettazioni, diritti processuali) il dibattito purtroppo non è libero ma è stretto dentro i soliti e prevedibili manicheismi.

Mentre gli americani abbandonano la «war on drug», nominano un consumatore di sostanze a capo del servizio anti-droga, annunciano una riforma della giustizia criminale, da noi i cultori del populismo penale – tra le fila del parlamento e nei media – hanno rialzato il tiro.

A Ferragosto il ministro dell’Interno Angelino Alfano aveva sottolineato come i delitti nel nostro Paese fossero in diminuzione del 13%. In particolare i furti e le rapine segnavano un’ampia contrazione scendendo, nei primi sette mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2014, rispettivamente del 10% e del 14%.

Dunque, in questo caso, l’aumento di pene per questi due reati non trova riscontro neanche nei dati. È diritto penale simbolico.

L’autore è presidente di Antigone

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