Come raccontare Dante a sette secoli dalla sua morte? Le tentazioni di un’attualizzazione banalizzante sono rischiose quanto quelle dell’irrigidimento di quest’autore nell’inaccessibilità – o in un’accessibilità riservata agli specialisti – di una cultura oggettivamente lontana da noi.
Una formula innovativa è rappresentata dalla mostra organizzata dalla Società dantesca Dante e il suo tempo nelle biblioteche fiorentine, che avrà luogo contemporaneamente in tre biblioteche della città (Biblioteca nazionale centrale, Biblioteca medicea laurenziana, Biblioteca riccardiana) dal 22 settembre al 15 gennaio 2022. La rassegna si articolerà in due sezioni. La prima, dedicata a Vita e opere di Dante, realizzerà e aggiornerà un «classico» modello di mostra autoriale esponendo i più importanti manoscritti delle opere dantesche e delle antiche biografie dell’autore conservati nelle tre biblioteche.

QUESTA «CLASSICA» narrazione dell’opera di Dante attraverso i manoscritti (che vedrà il contributo scientifico degli studiosi impegnati nelle nuove edizioni critiche della Commedia, delle Ecloghe, del De vulgari eloquentia e della Questio de aqua et terra in cantiere per l’Edizione Nazionale) sarà seguita da un’altra del tutto nuova, specie per il grande pubblico: quella dei libri che il giovane poeta poté leggere a Firenze. Questo Dante in context, come si usa dire in ambito anglosassone, calato cioè nel concreto contesto culturale che lo nutrì e lo formò, sarà oggetto della seconda sezione della mostra, chiamata Leggere e studiare nella Firenze di Dante: i manoscritti di Santa Croce.

Non avendo i libri posseduti o sicuramente letti da Dante, la ricostruzione sarà indiziaria e certa allo stesso tempo. Si è partiti da una biblioteca dantesca documentata ma non «fisica» – quella implicata dalle citazioni degli autori a lui più cari contenute nella sua opera – e dal fatto che, come Dante stesso dice nel Convivio, subito dopo la morte di Beatrice egli trascorse trenta mesi di studio nelle «scuole dei filosofanti» tradizionalmente e ragionevolmente identificate nei due studia dei conventi di santa Croce e santa Maria Novella, i centri di formazione superiore della Firenze duecentesca ancora priva di università.

Particolarmente legato a Dante a partire dagli anni ’90 per la presenza, tra i frati, del nipote Bernardo Riccomanni, figlio della sorella Tana, inoltre teatro di una disputa tra il filosofo Pietro delle Travi e un misterioso litteratus la cui identificazione con Dante è tanto incerta quanto possibile e seducente, lo studium del convento di Santa Croce possedeva in epoca dantesca una ricca biblioteca. I manoscritti presenti a quel tempo li abbiamo ancora; da tempo se ne attendeva uno studio approfondito.

I LIBRI ANTICHI di santa Croce sono ora studiati; la loro fisionomia di questi è stata confrontata col modo in cui Dante cita e legge quelle opere. Ne sono emersi o sono stati meglio documentati intrecci per noi non ovvi tra ambiti del sapere: si è visto in che modo Dante potesse trovare in Aristotele personaggi omerici come Ulisse, nei commenti a Virgilio notizie cosmologiche o teorie antiche sull’immortalità dell’anima, e nei margini di manoscritti filosofici opere originali e sconosciute che mescolano autobiografia e enciclopedismo moraleggiante come egli fece nel Convivio.
La mostra presenterà un Dante non attualizzato né banalizzato, ma vicino perché la sua mentalità e la sua cultura balzano fuori dai manoscritti con l’energia di un passato a noi prossimo.