Cosa succede se si consegna Dante agli artisti italiani sotto i trentacinque anni? Era questo il proposito di un bando ministeriale, Cantica21, circolato in pieno clima di celebrazioni per il sommo poeta. La generazione dei nati negli anni novanta vede ormai qualche nome venire a galla ed è già tempo dei primi confronti con i musei italiani.
Il fotografo modenese Jacopo Valentini è stato invitato a mettere i suoi scatti in relazione all’allestimento del Museo Civico Medievale di Bologna, dando vita a una mostra che interseca pienamente il normale percorso di visita al museo: Concerning Dante. Autonomous Cell. Jacopo Valentini, a cura di Carlo Sala, fino al 18 settembre (il catalogo, pubblicato da Humboldt con la solita sobria eleganza – pp. 92, e 20,00 –, è corredato anche di un saggio di Claudio Giunta). Vuole un vecchio mantra, ancora pochissimo praticato, che i nostri musei, se si aprissero a un contemporaneo misurato, rischierebbero di ringiovanire di colpo, ma chissà, forse ancora si sospetta che la cura possa avere delle controindicazioni. Bologna d’altronde non è nuova a questo genere di contaminazioni, basti pensare a quando Luigi Ficacci invitò Mario Cresci a intervenire sul corpo, ben più largo, della Pinacoteca Nazionale.
L’operazione di Valentini al Civico Medievale è talmente non invasiva che alcune stampe sono poggiate per terra e quando le foto sono incorniciate e appese l’esercizio è quello della punteggiatura, e non potrebbe essere altrimenti, a voler dialogare davvero con pietre e mattoni a vista delle pareti, con l’ottone brunito dei supporti delle teche, con le severe facce di marmo che sporgono dalle arche e dai pulpiti trecenteschi. Con i suoi incisi di carta Valentini si è delicatamente innestato dove poteva, per suggerire senza stupire, senza la ricerca dell’effetto, che d’altronde arriva automaticamente, con prepotenza, quando c’è di mezzo un capolavoro di Algardi o l’inaspettato incontro con un vaso messicano collezionato da Pelagio Pelagi.
Bombe vulcaniche di Lanzarote, avvolte in una nebbia da sovraesposizione, si sono adagiate e piovono quasi nascoste, fra gli aggetti dei sarcofagi dei dotti bolognesi. Si capisce, dopo un po’ che si ripercorre il museo, che la sua struttura è aperta a una rilettura. Valentini ha immaginato un inferno, un purgatorio e un paradiso. Buffalmacco, convocato dal Camposanto pisano, visto di traverso si è messo accanto alle vetrine cariche di oggetti paleocristiani. Nuove simmetrie si generano a partire dagli accostamenti di Madonne bizantine, crocifissi in pietra incisi e issati su colonne e la sulfurea chiarezza dei Campi Flegrei visti da Valentini. Qui, a fianco, ci sono gli avori. Lanzarote ritorna, quasi a sovrapporsi a personali deserti vulcanici immaginati di giorno e non di notte, tutti fra Baia, Bacoli e Pozzuoli.
Giustamente la geografia è resa arbitraria dall’autore, che può incontrare il fantasma di Dante, se gli pare, attaccato alla Pietra di Bismantova. Allora l’atmosfera si fa un po’ cheta, sempre schiarita da un mezzotono bianco-sporco che sembra imposto per ragioni di poesia. È un tentativo ipnotico, che forza accomunamenti con Santa Croce, il Palazzo del Podestà di Verona o la facciata del Duomo di Firenze: tanto meglio se l’effetto è irreale, ma non straniante. Si è dentro il poema.
Nel piano sotterraneo, in assenza di luce, aumentano le lapidi funerarie, a parete o a pavimento, e Valentini propone un trittico di prestiti da artisti che in passato si sono appropriati della Divina Commedia. Il primo è Federico Zuccari, visitato da Valentini al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, dove è conservato il suo Dante Istoriato. Ma i Cerberi, o i Virgili che spacconi riemergono, a matita rossa, dalla porta della città di Dite tutta piena di omenoni, sono oggetti quasi tridimensionale, perché Valentini ha sistemato i fogli, scorniciati di loro, sul tavolo del Gabinetto per fare una sua natura morta. Ci sono i riflessi a denunciare l’operazione, ma si crederebbe che la luce accecante del contemporaneo sia riuscita a liberare gli antichi dalla polvere. Oppure ci sono le scansie della libreria del Gabinetto, quando il disegno di Zuccari è incorniciato, ecco che occorre trovargli un set di legno, che ridimensioni le sfere del Paradiso.
L’altro oggetto della ricerca formale di Valentini è Alberto Martini, andando a scegliere qualche volto acceso dal surreale fra le duecentonovantotto opere dantesche conservate alla Pinacoteca Martini di Oderzo. E chiude con Robert Rauschenberg, che fra i dannati aveva incluso Kennedy e Nixon, giusto per inserirlo in quel tratto di museo dove riemerge il problema di Jacopo della Quercia e dei suoi comprimari. Dalle Canarie Valentini ha tirato fuori un Paradiso morbido, discretamente sospeso dalla natura che si abbarbica sul suolo vulcanico alle distese marine dominate dall’alto, come se il poeta fosse andato lì a rimirar lo loco. Tutto questo mette voglia di rileggere Dante? Direi di sì, ma soprattutto di mettersi seriamente a ragionare su cosa combinano quei giovani artisti italiani che già meritano di essere seguiti.