«La bellezza è difficile», ricorda l’antica sentenza greca posta in esergo a questo saggio su Timeo in Paradiso Metafore e bellezza da Platone a Dante (Donzelli «Saggi», pp. X-296, euro 35,00), titolo con cui Boitani amplifica come nomi propri, protagonista e ambientazione di una fabula, le opere discusse e la loro tradizione letteraria e filosofica: il Paradiso di Dante, letto e interpretato a ritroso nel tempo attraverso il Timeo di Platone. Una ricerca che conduce verso l’ineffabile e l’indicibile: come e perché nasce l’universo, in greco ‘cosmo’ a esprimere i concetti di ordine e bellezza, con quale atto e volontà di creazione.

Ma soprattutto come queste teorie sono state immaginate, comprese e raccontate attraverso le acrobazie del linguaggio, quella possibilità infinita che le parole hanno di trasformarsi in metafora e diventare mito, appunto racconto: lo spazio esuberante e infinito dell’eikos logos o, come pallidamente cerca di rendere la lingua italiana, il ‘verisimile’. Solo grazie al racconto e la metafora si arriva alla reale conoscenza, «l’alta luce che da sé è vera» (Paradiso, XXIII, 54), e anche l’uomo, finalmente, come i Serafini, «s’indìa» (IV, 27), strepitoso neologismo con cui Dante spiega la relazione narrativa tra le anime e il divino, con le parole di Beatrice, voce dell’ideale platonico in cui bene-bellezza e beatitudine coincidono; non soltanto ipostasi di filosofia o teologia, ma originale soluzione poetica costruita attorno a uno ‘sguardo’ ereditato dagli stilnovisti e ora fisso verso la luce di Dio: «trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essempio basti / a cui esperienza grazia serba» (I, 70-72).

La sfida di Boitani consiste nella ricerca di come in oltre mille anni di riflessioni e scritture raffinatissime sia stato descritto e spiegato il «produttore» – o meglio poeta, vista la sfera di significati del greco poietés – «e padre di questo universo»; ed è «impresa» difficile perché «pur avendolo trovato è impossibile comunicarlo a tutti» (Timeo 47b). Un itinerario affascinante e complesso lungo «i sentieri del linguaggio figurato» che sono «spesso obliqui, nascosti, mimetizzati» e qui raccolti con la cura e la dottrina sterminata di un intellettuale del Rinascimento e la profondità analitica di un filosofo della scuola di Chartres. Il lettore avverte fin dalle prime pagine l’«entusiasmo» che lo studioso intende trasmettere e che realizza trasformando il saggio nel racconto di un’«avventura intellettuale». Il tema critico si trasforma in una «vicenda»; i riferimenti e i rimandi interni in «analessi» e «prolessi, delle quali si serve ogni narrativa che si rispetti».

La trama si snoda lungo 34 brevi capitoli – numero dantesco – che iniziano con il Timeo e si chiudono con l’«ultima similitudine», gli ultimi straordinari 13 versi del Paradiso in cui, finalmente, la «fantasia» creatrice del poeta si ferma e l’uomo Dante, colpito dal «fulgore» della grazia divina, diventa tutt’uno con «l’amor che move il sole e l’altre stelle». Già nel raccontare Ulisse, Boitani aveva mescolato attività critica e autobiografia; con questa chiusa, in dissimulata analogia, lo studioso sembra qui posare i propri strumenti di lavoro e invitare sé stesso e il lettore alla contemplazione.

L’Epilogo che segue, con il titolo di «Discesa dal cielo, ascesa all’arte e alla scienza», riparte dalla descrizione della Scuola di Atene di Raffaello per illustrare la fortuna del Timeo e del Neoplatonismo nel Rinascimento –fino a Il mondo creato di Tasso – nella Nuova Scienza barocca di Keplero, per giungere alle epistemologie e cosmologie della contemporaneità, ancora platoniche, con Whitehead e Heisenberg. Si tratta di una densa ed efficace introduzione al testo del Timeo, riprodotto nella traduzione di Federico Maria Petrucci, già pubblicata per la Fondazione Valla di cui Boitani è demiurgo, e qui offerta a compimento di un itinerario complesso, che tiene effettivamente con il fiato sospeso il lettore nell’attesa di chiarimenti o di una sintesi definitiva che non vi sarà mai.

Come un maestro medievale che svolge la propria lectio, lettura ad alta voce ed esegesi degli auctores, a volte brevi citazioni, talora lunghi brani sempre e comunque tradotti ma spesso documentati anche nell’originale, Boitani ci guida all’esplorazione di un’inesauribile antologia di testi inattesi e spesso ignoti ai non specialisti. Proclo, Plotino, Alberto Magno, Ambrogio, Giovanni Scoto Eriugena, Guglielmo di Conches, Bernardo Silvestre, Alano di Lilla: queste, e la Bibbia, alcune delle fonti attraverso le quali assume significato il collegamento tra i due libri oggetto del saggio, Timeo e Paradiso, insieme al testo chiave dell’itinerario dantesco, la Consolazione della filosofia di Boezio. Dante, infatti, non poteva conoscere il Timeo se non attraverso Macrobio nel suo commento al ciceroniano Sogno di Scipione e forse la parziale traduzione con commento di Calcidio. Oltre Sant’Agostino, che leggeva il Timeo anche nella traduzione di Cicerone, è infatti soprattutto Boezio l’autore cui Dante si ispira per innestare nel Paradiso la rappresentazione platonica della creazione e del creatore: «tu che il mondo governi con perpetua ragione / che hai piantato il cielo e la terra, che al tempo / comandi dal perenne di muovere, che fisso / restando a tutto dai moto». E da versi mirabili come questi – «la lirica più bella dell’intera Consolazione», annota Boitani – Dante apprende l’arte di declinare la filosofia in versi, di «dare forma poetica al pensiero» e così «filosofare cantando».

In questa avvincente ricostruzione, dotta ma senza mai indulgere all’erudizione, il filo tenue del collegamento tra Platone e Dante, un «intrico» che «attraversa le epoche e le culture», trova in Dionigi Areopagita «il link tra cristianità e platonismo medievale d’Occidente» quando, nell’827, la sua opera arriva in dono dall’imperatore di Bisanzio al re di Francia Ludovico il Pio che ne affida subito la traduzione latina a Ilduino, titolare di quella stessa Abbazia di Saint-Dénis, sorta nel luogo sacro dove proprio Dionigi, inviato come missionario in Gallia sarebbe stato decapitato. Uno dei possibili Dionigi. La cronologia è infatti incerta, così come l’attribuzione delle opere che risalgono probabilmente alla mano di un Siro del VI secolo. Questa vicenda «è tutta una fictio», ma proprio per questo ancora più intrigante, ed è qui ben inserita in pagine quasi alla Borges, in cui la narrazione è innescata da una scrittura saggistica e rinforzata dalle note. Anche il lessico e le figure retoriche si alzano di tono: le versioni latine di opere quali Teologia mistica, Teologia simbolica, Istituzioni teologiche, Nomi divini sono considerate un «bagliore deflagrante», un «evento esplosivo»; nel patto narrativo, quando il racconto ‘funziona’, il destinatario è come preso in una rete ed è pronto a credere e seguire il suo narratore in ogni cosa. Non è a sua volta figura retorica qui affermare che molti avranno avuto la tentazione di interrompere la lettura di questo libro e passare ad esplorare le oltre ottocento pagine di Tutte le opere di Dionigi (Bompiani, 2009), appunto seguendo il magister, o meglio il lector che si domanda «di cosa Dante sarebbe stato capace se avesse letto il Periphyseon, con i suoi arditi voli teologici e linguistici».

La natura platonica del medioevo, almeno fino al XII secolo, era certo già nota agli specialisti, così come i tormentati legami tra Dante e un testo come il Timeo che egli non poteva aver letto e che si affermerà solo tra Umanesimo e Rinascimento, fino a risultare il libro di Platone per antonomasia in Raffaello. Ma il saggio-racconto di Boitani va ben oltre, e ora possiamo riconoscere che Dante alla scuola di Platone apprende il modo in cui descrivere la creazione e l’immortalità delle anime – «quel che Timeo dell’anime argomenta» – e anche, nel suo complesso, l’arte del mito o del racconto figurato, la capacità di forgiare e rappresentare la «magnificenza cosmica» con il linguaggio traslato e metaforico che caratterizza la lunga stagione dell’alto medioevo che lo precede. E quei nomi della scuola di Chartres, la cui celebre metafora nanos gigantium humeris insidentes è diventata il motto del search engine accademico Google Scholar – significativamente trasformato in proposizione imperativa: sali sulle spalle di giganti –, prendono vita, oltre la tradizionale Quellenforschung di ogni filologia.

La Cosmographia di Bernardo Silvestre è un libro che Dante non ha letto, ma Boitani sì per ritrovarvi, confermata, la sua stessa «ansia della ricerca e l’icona del viaggio», la «forza di immaginazione e di linguaggio». Diversamente, l’opera di Alano di Lilla, già riconosciuta come modello essenziale, conferma che l’intera Commedia è certo il culmine di una tradizione che si snoda per cerchi concentrici, proprio come il Paradiso di cui questo libro si presenta come uno dei migliori inviti alla lettura, a illustrarne e raccontarne l’infinita e difficile bellezza.