Cosa ancora non funziona nella democrazia deliberativa M5S
Partito per dove? Grillo ha fornito un assist a Conte rivelando che puntava a decidere tutto in una riunione ristretta. Il modello «deliberativo» che gli viene contrapposto può essere quello giusto
Partito per dove? Grillo ha fornito un assist a Conte rivelando che puntava a decidere tutto in una riunione ristretta. Il modello «deliberativo» che gli viene contrapposto può essere quello giusto
Un clamoroso autogol, quello di Beppe Grillo, quando nella sua lettera aperta a Conte, ha scritto: «Ci eravamo ripromessi di programmare alcuni incontri con un gruppo ristretto dei nostri, per discutere dei temi su cui rilanciare il Movimento».
Grillo non poteva tradire in modo più plateale la sua concezione proprietaria del movimento che ha fondato. E ha avuto gioco facile Giuseppe Conte nel rovesciare il tavolo: altro che «gruppo ristretto», faremo una grande «costituente», in cui coinvolgere tutta la nostra comunità, i cittadini, ecc. Ma dietro questo annuncio, si colgono delle novità significative?
Nel comunicato con cui il M5S ha illustrato il percorso costituente un aggettivo è ricorrente: si tratterà di un processo «deliberativo». Qualche precisazione sul senso di questo termine può essere utile. Vi è qui un richiamo al modello teorico della democrazia deliberativa, una delle più importanti correnti del pensiero democratico contemporaneo. In questa sede basta chiarire un punto: «deliberazione» non è sinonimo di «decisione», ma denota la fase dello scambio argomentativo che precede una decisione. «Deliberare» implica che le opinioni non siano date una volta per tutte, ma che si formino e si trasformino nel vivo di un processo dialogico quanto più possibile pubblico e inclusivo, che permetta di soppesare le diverse ragioni in gioco, i pro e i contro alla soluzione di un problema. La democrazia deliberativa è dunque l’esatta antitesi della democrazia «diretta» (che si limita ad aggregare le preferenze individuali) e non è nemmeno assimilabile ad un termine più ampio (la «democrazia partecipativa») con cui oggi si evoca un qualche coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali.
NON È POSSIBILE, qui, soffermarci su questo modello teorico e sulle sue controverse applicazioni. Nel nostro caso, sorge una questione: è possibile concepire un modello deliberativo di democrazia interna di partito? Sì, è possibile, se ne sta discutendo, e potrebbe anche essere una prospettiva credibile per ripensare oggi i modelli di partito, ma naturalmente occorre vedere come viene immaginato e praticato. Cruciale è la risposta ad una domanda: come si connettono la fase della discussione collettiva e quella della decisione politica?
Non possiamo qui analizzare in dettaglio le tre fasi con cui il M5S ha delineato questo processo costituente: la fase iniziale dell’«ascolto»; quella propriamente deliberativa, nel corso della quale un campione di 300 iscritti, opportunamente stratificato sulle base di alcune variabili sociodemografiche, giunge infine a prospettare un «documento di indirizzo»; la fase finale, un’Assemblea costituente, in cui questo documento viene votato dagli iscritti.
In tutta questa sequenza vi sono ancora molti passaggi poco chiari e assai problematici. E sono discutibili anche alcuni aspetti propriamente teorici e metodologici: ad esempio, un campione, per quanto rappresentativo da un punto di vista sociologico, non è affatto detto che lo sia da un punto di vista politico. Ci sarà modo di discuterne: ma si sbaglierebbe ora a liquidare la faccenda con una scrollata di spalle. Intanto, va notata una novità significativa: viene abbandonata quella mitologia della democrazia diretta digitale che ha segnato le origini del M5S e che si è rivelata del tutto illusoria.
Si potrà vedere solo in corso d’opera come e se i presupposti deliberativi del progetto verranno rispettati. Qui possiamo solo fare alcune osservazioni sulle premesse stesse di questa operazione. Nel comunicato si legge: «Questo percorso» vuole offrire «le informazioni essenziali per una discussione informata e strutturata che possa stimolare soluzioni condivise ed efficaci. Per questo motivo il processo non verrà governato dall’attuale vertice politico del Movimento 5 Stelle, ma sarà coordinato da un gruppo di esperti che agiranno come facilitatori con l’obiettivo di rendere il processo pienamente trasparente». E il M5S ha affidato questo compito ad una nota società che opera in questo campo, e che offre le massime garanzie di terzietà e professionalità.
QUESTO AFFIDAMENTO esterno ha suscitato molti dubbi, ma di per sé non c’è nulla di scandaloso: processi deliberativi strutturati e complessi hanno solitamente bisogno di un supporto organizzativo e di expertise. Gli interrogativi sono altri: perché si sente il bisogno di allontanare ogni sospetto di manipolazione «dall’alto»? Le procedure deliberative vanno benissimo: ma perché, ad esempio, non applicarle ad uno o più documenti iniziali proposti dal vertice, o una serie di dossier, aperti alla discussione e alla revisione critica e poi all’approvazione degli iscritti?
Emergono qui molti nodi irrisolti della natura del M5S e del suo impianto originario: il carattere volatile della sua base militante, la casualità nella selezione dei gruppi dirigenti e nella loro legittimazione democratica. E alla fine così si scarica su un campione di 300 iscritti la pesante responsabilità di elaborare un documento di indirizzo politico. Siamo certi che questi 300 svolgeranno egregiamente il loro compito, e chi li coordinerà faciliterà nel modo migliore la loro discussione: ma tutti gli altri, iscritti e simpatizzanti, potranno poi riconoscersi nel risultato, laddove sia mancato, prima e dopo, un vero processo di elaborazione collettiva?
Antonio Floridia è autore del libro Un’idea deliberativa della democrazia (Il Mulino, 2017)
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento