Corto Dorico Film Festival, organizzato nelle Marche dall’Associazione di promozione sociale Nie Wiem, ha una speciale categoria di premio per i film di piccolo formato che da vent’anni arrivano ad Ancona da tutto il mondo. È quello assegnato dalla giuria composta da reclusi presso i penitenziari della regione. Sono stati gli istituti di Pesaro, Ancona, Ascoli Piceno, Fermo in questa edizione del festival ad ospitare la valutazione e il dibattito attorno ai sette lavori finalisti tra cui il 10 dicembre sarà premiato il vincitore; sono When you wish upon a star di Domenico Modaffari, Old Tricks di Edoardo Pasquini e Viktor Ivanov, Tria di Giulia Grandinetti, Le Variabili Dipendenti di Lorenzo Tardella, Camerieri di Adriano Giotti, So what did we learn today, Georgina? di Franco Volpi, Il Barbiere complottista di Valerio Ferrara.

L’INIZIATIVA che coinvolge i detenuti è stata avviata cinque anni fa e nelle precedenti edizioni è stata ospitata anche nella Casa di Reclusione di Fossombrone e nella Casa Circondariale di Ancona – Montacuto. Il nuovo Garante regionale dei Diritti della Persona della regione al plurale che offre quel che chiamano modello Marche oggi in continuità politica col Governo centrale, ha recepito il testimone del suo predecessore con soddisfazione di organizzatori e partecipanti. Luca Caprara, direttore artistico del festival, racconta come negli anni il giudizio dei carcerati sia risultato puntualmente allineato con quello dei giurati critici, piuttosto che con le preferenze espresse dal voto del pubblico. Sarà che da ristretti oltre le mura (che è pure titolo della rassegna), aumentano profondità di analisi e concentrazione, il tempo si dilata sgombro di distrazioni, in primis quelle fornite dai device che normalmente si consultano per ogni aspetto del vivere quotidiano, dall’ora, alla critica di un film, al meteo. Gli stessi telefoni che, accolti per la proiezione al carcere Barcaglione di Ancona, lasciamo all’ingresso per raggiungere, percorsa una sequenza di corridoi, la biblioteca, accompagnati dal personale di polizia penitanziaria e da uno schiavardare sonoro e antico a ogni passaggio. Ci sono ancora, in carcere, mazzi enormi di chiavi infilati in un anello alla cintura delle guardie, a presidio di ogni varco e cella.

OGGI i reclusi che hanno aderito alla proposta del Festival e dell’Ufficio del Garante sono giudici. Sono una decina , qualcuno impegnato in altre attività ci raggiunge a lavori iniziati, altri già in sala lettura si aggregano incuriositi. È una commissione partecipe quella composta dai detenuti, assorta; quando viene mostrato Old Tricks, storia di humor nero dove una coppia di anziani coniugi gioca a chi meglio inscena la propria morte per spaventare l’altro, scappa qualche risata liberatoria.
Claudio, che da dentro le mura ha conseguito diploma e due lauree, commenta: «Hanno trovato un modo per capovolgere la noia». La noia in carcere, aggiunge poi, raddoppia la pena. Per questo le offerte ricreative, anche culturali, sono perlopiù accolte con entusiasmo. Almeno così è per Chakir che, ci racconta, in carcere ha frequentato corsi di poesia e teatro, e ora partecipa al progetto cinematografico. «A volte quel che si impara ai corsi lo proseguiamo insieme» e così è stato che la sua pratica letteraria e quella musicale di un altro compagno li hanno portati a trovarsi, in momenti autogestiti, a fare insieme rap.
Chakir è stato coinvolto anche in una seconda progettualità legata a Corto Dorico e condotta con lo IULM di Milano che entrerà nel vivo i primi mesi del 2023 e ha già visto la realizzazione di uno short movie di presentazione. Il titolo dell’audiovisivo è Firmamento, Caprara lo mostra prima della visione dei corti in gara, Chakir ha prestato la sua voce per parlare di un cielo che da qui si vede a scampoli «Sì, ma è pur sempre cielo e quando sarò fuori ricorderò quanto era importante».

A VOTAZIONI ultimate parliamo con Andrea che si è divertito a fare il critico cinematografico, il cinema gli piace sia in sala che in piattaforma, specie i thriller. Nella Casa di Reclusione però la sua specialità è l’orto sociale che gli è affidato. Il raccolto di è di legumi, cipolle, carote, i prodotti di stagione che poi può prepararsi in cella e condividere, cosa importantissima e riuscita sembra, almeno qui, e confermata da Andrea che spiega «I domiciliari sono peggio del carcere, qua non si è soli». Chi è detenuto dispone del necessario per cucinare, e posate in plastica. Parliamo della condizione di reclusione in lockdown «la cosa peggiore è stato non poter abbracciarsi durante i colloqui». L’ attività più bella per lui però è quella che coinvolge i figli dei detenuti che ad Ancona si svolge in collaborazione con il Polo 9, impresa sociale che opera nelle Marche, sotto la sigla «Bambini senza sbarre».