Gli arresti sono arrivati immediatamente. Un segnale, anzi il segnale che l’Inghilterra in questo senso mostra come intervenire in modo deciso sul tema dei cori omofobi sugli spalti. I tre giovani che si sono macchiati di canti discriminatori all’indirizzo dei calciatori del Chelsea nella trasferta sul campo del Wolverhampton – nell’ultimo turno di Premier League – sono finiti in manette mentre la polizia delle West Midlands ha fatto sapere che sono ancora in corso le visioni dei filmati dei sistemi di sicurezza dell’impianto. Potrebbero arrivarne altri di arresti, mentre il club di casa e soprattutto la Premier League hanno condannato l’episodio razzista. Durante la partita, l’altoparlante dello stadio dei Wolves, il Molineux, aveva avvertito quel manipolo di intolleranti che altri cori di questo genere non sarebbero stati tollerati. «Chelsea rent boys» è un coro che allude alla prostituzione maschile ed è rivolto ai calciatori e ai supporter dei Blues perché Chelsea è un quartiere di Londra che divenne il ritrovo della comunità Lgbt negli anni ’60. Qualche settimana fa l’ufficio del pubblico ministero britannico lo ha definito un insulto omofobo, avvertendo che chi lo canta potrà essere perseguito per crimini d’odio. Nel frattempo la Football Association ha annunciato di voler perseguire penalmente i tifosi che si macchiano di queste offese: è accaduto già a un supporter del Liverpool, stavolta tocca a tre del Wolverhampton. I tre arrestati sono accusati di aver causato «allarme e molestie» e «linguaggio minaccioso volto a sollecitare l’odio basato sull’orientamento sessuale». Sono stati rilasciati su cauzione.

I CORI RAZZISTI allo stadio Molineux non sono certo un fenomeno casuale. Nello specifico, quello all’indirizzo del Chelsea è intonato spesso dai tifosi di Liverpool, Leeds, Tottenham, Everton. La dirigenza del Tottenham ha condannato i suoi tifosi per averlo cantato nella semifinale di Carabao Cup con il Chelsea, a gennaio. Nell’immaginario (becero) dei tifosi razzisti il termine rent è associato all’accusa ai Blues di essersi fatti comprare dalle risorse dell’ex patron russo del Chelsea, Roman Abramovich. Il club di Londra intanto lavora a diversi progetti di inclusività, con la sezione Lgbtq+ della propria tifoseria, il «Chelsea Pride».
Questo coro fornisce l’ennesima prova, se ci fosse bisogno di altro materiale per formulare l’ipotesi, che il razzismo non è certamente un fenomeno che tocca solo il calcio italiano. Ma, a differenza del nostro torneo, dove fioccano al massimo dei Daspo e si chiudono le curve per qualche turno, gli inglesi fanno sul serio, individuano i responsabili e lanciano segnali inequivocabili di condanna.