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Corano bruciato, Stoltenberg cerca di placare l’ira turca

Corano bruciato, Stoltenberg cerca di placare l’ira turcaL'ambasciata svedese presa d'assalto a Baghdad

Nato Erdogan: la Svezia «non potrà realizzare le proprie ambizioni» di entrare nell'Alleanza atlantica

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 giugno 2023

«Abbiamo visto le immagini relative al Corano dato alle fiamme, si tratta di fatti oggettivamente offensivi e discutibili». «Abbiamo anche visto delle proteste contro la Turchia e la Nato nelle ultime settimane in Svezia: non le ho apprezzate ma rispetto la libertà di espressione». Con queste parole il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg prova a gettare acqua sul fuoco che, letteralmente, mercoledì pomeriggio ha bruciato una copia del Corano davanti alla più grande e centrale moschea di Stoccolma provocando una vera e propria sollevazione globale di tutto il mondo islamico.

«QUESTA È DEMOCRAZIA, il vero pericolo è se ci dicono che non possiamo farlo» aveva affermato l’autore del rogo coranico Salwan Momika, un cittadino iracheno che da alcuni anni ha ottenuto lo status di rifugiato politico in Svezia a causa della sua opposizione al regime di Baghdad. Una manifestazione, la sua, contro l’Islam e in nome di un principio liberale secondo il quale tutte le manifestazioni sono permesse se non danneggiano altre persone o cose. Eppure il rogo di Momika sta avendo conseguenze che probabilmente il 37enne iracheno non aveva minimamente previsto.

L’EFFETTO più immediato lo subisce, come era prevedibile, il processo di adesione della Svezia alla Nato. Il Presidente turco Erdogan ieri ha tuonato: «La Svezia non potrà realizzare le sue ambizioni, mostreremo la nostra reazione nel modo più forte possibile, finché non sarà ottenuta una vittoria decisiva contro le organizzazioni terroristiche e l’islamofobia». A poco sono servite le parole di Stoltenberg, un paio d’ore prima, che annunciava per il prossimo 6 luglio un bilaterale «decisivo» tra Turchia e Svezia per l’adesione del paese scandinavo all’Alleanza atlantica. A questo punto, anche se l’ex premier norvegese dovesse riuscire a mettere intorno al tavolo le due delegazioni, è improbabile che la situazione si sblocchi.
I nuovi articoli della legge svedese contro il terrorismo, varata dal governo di centro destra lo scorso autunno ed entrati in vigore il 1° giugno di quest’anno, prevedono l’espulsione di tutti i cittadini sul suolo svedese che intrattengono rapporti con organizzazioni terroristiche (alias la resistenza curda). Alcune espulsioni erano già state previste ma, già prima del rogo coranico di mercoledì, la Turchia si era dimostrata molto titubante nel definire tempi stretti per il loro sì a Stoccolma nella Nato.

DOPO LA MANIFESTAZIONE di Momika Erdogan può nuovamente alzare il prezzo della trattativa, anche direttamente con l’Alleanza atlantica e i singoli stati, per ottenere concessioni sia in campo militare che economico. L’autocrate turco sa anche quanto il segretario generale della Nato Stoltenberg desideri che i cugini svedesi possano entrare dentro l’alleanza. L’ex leader socialdemocratico norvegese aveva lavorato fin dall’aprile dello scorso anno con Sanna Marin e Magdalena Andersson, rispettivamente ex premier socialdemocratiche di Finlandia e Svezia, per garantire uno scudo militare comune a tutta la penisola scandinava e al Mar Baltico.

SE PER LA FINLANDIA era bastato ad Erdogan, per far cadere il suo veto, che Helsinki togliesse il divieto di vendita di armi ad Ankara, per la Svezia era chiaro che tutto fosse più complicato a partire dalla presenza di una forte comunità curda nel paese. Una comunità che aveva trovato accoglienza e protezione fin dai tempi d’oro della socialdemocrazia scandinava guidata da Olof Palme negli anni ‘80. Accoglienza che per il governo turco è sempre stata inaccettabile. Non erano mancate, negli anni, le prese di posizione dei governi svedesi a favore della resistenza curda nel Rojava siriano come la condanna, per le continue violazioni delle libertà personali, del ventennale regime di Erdogan. Critiche e prese di posizione sparite invece oggi in nome della sicurezza nazionale svedese.

A FAR SALTARE il banco si è però messo in mezzo un profugo iracheno che martedì ha bruciato un libro sacro per quasi due miliardi di persone, provocando il coro indignato di tutto l’Islam: Giordania e Marocco hanno richiamato i loro ambasciatori a Stoccolma, pesantissime critiche sono arrivate da tutti gli stati arabi e da molti movimenti islamici, dagli Hezbollah siriani ai talebani afghani. Nel pomeriggio di ieri è stata assaltata anche l’ambasciata svedese a Baghdad su ordine del clerico sciita Moqtada Al Sadr che ha invitato a «bruciare le bandiere Lgbtq» per rappresaglia. Il rogo coranico, però, sta ponendo a tutta la Svezia una domanda: quanto tenete alle vostre leggi e alla vostra libertà?

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