Mentre in Italia si svolge il G7, in Germania un altro meeting si chiude. Sono terminati a Bonn i negoziati intermedi Unfccc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), e gli osservatori sono unanimi nel considerare il risultato deludente.

L’Unfccc è l’ombrello sotto il quale le Nazioni Unite promuovono politiche di contrasto alla crisi climatica concordate a livello globale. Il momento centrale di questo processo è rappresentato dalle Conferenze delle Parti (Cop), incontri annuali nei quali convergono le massime autorità mondiali. Il prossimo di questi vertici, Cop29, si terrà in novembre a Baku, in Azerbaijian. Per avvicinare le posizioni dei governi prima del summit vero e proprio, si svolgono incontri preparatori come quello concluso ieri. Spazi poco mediatici, ma fondamentali per predire l’esito della Cop a venire.

A Bonn si è parlato sopratutto di soldi. Durante Cop29 si dovrà stabilire un nuovo obiettivo finanziario globale: flussi di denaro dai paesi ricchi al cosiddetto Sud globale per finanziare la transizione. Nel 2009 le nazioni industrializzate promisero cento miliardi di dollari l’anno entro il 2020. Questo primo obiettivo – raggiunto in realtà solo nel 2022 – è in scadenza: per il 2025 si dovrà individuare una nuova cifra. Ma sul quanto, l’accordo è lontanissimo.

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I più ambiziosi tra i paesi che si aspettano di ricevere i fondi – nazioni africane, latinoamericane, asiatiche – puntano a decuplicare l’importo, raggiungendo i mille miliardi annui. Il mondo ricco rimane lontano da cifre simili. Sullo sfondo il tema del debito: molti paesi africani hanno più volte manifestato l’intenzione di non voler più ricorrere alla finanza climatica se erogata sotto forma di prestiti.

A uno stadio ancora più preliminare il dibattito sulla mitigazione e la riduzione delle emissioni. Qui il fronte degli ambiziosi è tradizionalmente rappresentato da Unione Europea e Unione delle piccole isole pacifiche (Aosis), sostenuti in questo caso anche da molte nazioni latinoamericane. Un blocco che non riesce a smuovere l’opposizione dei paesi Opec, i grandi produttori di petrolio, che sui singoli temi sono spesso capaci di avere dalla loro giganti come Cina, India, talvolta Stati Uniti. «Siamo delusi» ha commentato lapidario il delegato delle Isole Samoa.

I due temi, finanza e mitigazione, sono legati tra loro. «Miliardi di famiglie usano il fossile per cucinare, scaldarsi, vivere» ha spiegato il rappresentante del Kenya, che parlava a nome di tutto il continente africano. «Per mitigare quelle emissioni serve nuova finanza climatica». Lo stesso impasse già visto alla Cop28 di Dubai.

«Una serie di veti incrociati sta tenendo i negoziati fermi sia sulla finanza che sulla mitigazione – spiegano gli esperti di Italian Climate Network -. Sulla finanza giocano tutti a carte coperte, aspettando input più forti da G7 e G20».