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Cop 16 in Colombia, le grandi speranze del presidente Petro

Il presidente colombiano Gustavo Petro alla COP16 sulla biodiversità, a Cali, in Colombia foto di Fernando Vergara/ApIl presidente colombiano Gustavo Petro alla COP16 sulla biodiversità, a Cali, in Colombia – Fernando Vergara/Ap

Sud America L’ambizioso piano per il 2030: protezione ambientale per il 34% del territorio nazionale, 3% del Pil da destinare alla bioeconomia

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 23 ottobre 2024

Uno straordinario omaggio alla bellezza ha accolto a Cali i delegati della 16ma Conferenza delle parti della Convenzione Onu sulla diversità biologica: una versione dell’inno nazionale colombiano costituita dai canti di uccelli appartenenti a una quarantina di specie, con la collaborazione di rane, giaguari, balene, scimmie e l’aggiunta dei suoni del vento, del mare, della pioggia, tutto registrato nei diversi habitat del paese, dai Caraibi al Pacifico, dall’Amazzonia ai Páramos (le pianure d’alta quota).

UN INNO alla biodiversità – di cui la Colombia vanta la maggiore ricchezza per chilometro quadrato – inteso anche come un invito agli oltre 15mila partecipanti, tra cui più di 100 ministri dell’Ambiente e almeno 10 capi di stato, a non tradire le grandi aspettative riposte sul vertice dal governo Petro, in cerca di una «rivoluzione» nella relazione dell’umanità con il pianeta.

Se la Cop16, presieduta dall’infaticabile ministra dell’Ambiente Susana Muhammad, avrà successo o meno, molto dipenderà però dalla volontà dei governi di tradurre le dichiarazioni istituzionali in numeri e obiettivi concreti, in linea con il Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal adottato nel 2022 al fine di frenare e invertire il brutale declino della biodiversità in corso, già definito da più parti come la sesta estinzione di massa delle specie viventi. Un accordo mirato tra molto altro a garantire entro il 2030 la conservazione e la gestione efficace del 30% della superficie terrestre e di quella marina attraverso una rete di aree protette, scongiurando l’estinzione di altre specie e dimezzando il tasso di introduzione di specie esotiche.

E SE TALI SFIDE comportano piani di azione concreti e risorse finanziarie adeguate, è precisamente in questa direzione che è chiamata a operare la Cop16, come ha evidenziato lunedì, in apertura del vertice, la ministra Muhammad, presentando l’ambizioso piano di azione colombiano, finalizzato tra l’altro, entro il 2030, a estendere le misure di protezione ambientale al 34% del territorio nazionale (rispetto all’attuale 24%), a condurre processi di restaurazione ecologica su una superficie di 19 milioni di ettari, a destinare il 3% del Pil (dallo 0,8% di oggi) alla bioeconomia, a promuovere azioni di riconversione produttiva.

Deciso a fare della Colombia, come ha sottolineato Petro nel suo discorso di apertura, «una potenza mondiale della vita come destino nazionale», nella convinzione che «l’unica ragione d’essere dell’umanità sia la vita stessa», il governo sta puntando moltissimo su questo vertice, in particolare in direzione di un accordo globale che permetta ai paesi poveri di scambiare il loro debito estero con servizi ambientali come la conservazione dell’Amazzonia.

MA ANCHE riguardo alla possibilità di garantire flussi diretti di finanziamento ai popoli indigeni, i quali hanno contribuito alla conservazione dell’80% della biodiversità ancora esistente pur costituendo appena il 5% della popolazione. Proprio alla vigilia della Cop 16, non a caso, il governo ha firmato un decreto che riconosce 115 comunità indigene come autorità ambientali nei loro territori, assegnando loro, tra altri compiti, la protezione degli ecosistemi, la pianificazione dei bilanci, le decisioni sull’uso del territorio e la gestione delle risorse legate alla cura della natura.

Il buon esempio dato dalla Colombia potrebbe tuttavia non bastare: solo 33 dei 196 paesi firmatari del Quadro globale Kunming-Montreal hanno finora presentato il proprio piano di azione e le risorse mobilitate restano ben al di sotto dei 20 miliardi di dollari all’anno che i paesi ricchi si erano impegnati a versare entro il 2025, per un totale di 200 miliardi di dollari destinati al Sud globale entro il 2030.

NÉ SI INTRAVEDE un benché minimo impegno da parte della comunità internazionale a ridurre ed eliminare gli investimenti in attività destinate a distruggere la biodiversità, dallo sfruttamento di combustibili fossili all’attività mineraria fino all’agribusiness, in base al riconoscimento, come evidenzia Greenpeace, che «i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità sono alimentati dagli stessi modelli insostenibili e richiedono quindi soluzioni comuni».

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