Contrordine, la mafia nella Capitale invece c’è
Giustizia La sentenza d’appello riduce le pene ma ribalta il primo verdetto. Esulta la sindaca Raggi e i 5 stelle, ma anche il Pd applaude. 416 bis per 18 imputati su 43, Carminati torna al carcere duro, ora la Cassazione
Giustizia La sentenza d’appello riduce le pene ma ribalta il primo verdetto. Esulta la sindaca Raggi e i 5 stelle, ma anche il Pd applaude. 416 bis per 18 imputati su 43, Carminati torna al carcere duro, ora la Cassazione
Per la procura di Roma è giorno di festa. La sentenza emessa ieri dalla Terza sezione della corte d’appello di Roma, presieduta dal giudice Claudio Tortora, nel processo Mafia Capitale rovescia come un guanto quella di primo grado. Condanna ai sensi dell’art. 416bis, associazione mafiosa, 18 imputati su 43, di fatto tutti quelli di rilievo. Le pene, in compenso, scendono. Per Salvatore Buzzi, fondatore della cooperativa di ex detenuti «29 giugno» e figura chiave delle cooperative rosse nella Capitale e non solo, è questione di pochi mesi: dai 19 anni comminati dalla corte d’assise agli attuali 18 e 4 mesi. Ma per Massimo Carminati, l’imputato intorno alla cui biografia e alla cui presenza ruota per intero l’accusa di associazione mafiosa, il salto è cospicuo: da 20 anni a 14 anni e 6 mesi, anche se potrebbe doverli scontare di nuovo in quel regime di carcere duro dal quale era stato spostato in base alla prima sentenza.
Ma per il procuratore Pignatone e per il suo ufficio questo è davvero un particolare ininfluente. La sola cosa che conta è che la nuova sentenza conferma per intero l’impianto dell’accusa. A Roma non si trattava solo di «semplice» corruzione ma di mafia.
La diminuzione delle pene a fronte di una condanna per un capo d’accusa più grave è clamorosa solo in apparenza. Più che con l’intenzione di dare un colpo al cerchio e uno alla botte come era stato fatto nel primo processo, dove era caduta l’associazione mafiosa ma le condanne erano state estremamente pesanti, si spiega probabilmente con il mancato riconoscimento della continuità interna per i reati di corruzione.
Per saperlo con certezza occorrono le motivazioni della sentenza, che però saranno interessanti soprattutto per un altro elemento: il rapporto delineato dalla corte tra le due organizzazioni di fatto sotto accusa. Quella direttamente capeggiata da Carminati, dedita al recupero crediti e abituata a usare la mano pesante, e quella intorno alla quale era strutturato un vertiginoso giro di corruzione. Per i magistrati di primo grado si trattava di due associazioni distinte, essendo solo la presenza in entrambe di Carminati il punto di contatto. I giudici d’appello hanno invece considerato le due associazioni come facce diverse di un’unica realtà e sarà interessante scoprire su quale base sono arrivati a questa conclusione opposta.
Di certo sull’orientamento della corte hanno pesato alcuni pronunciamenti della Cassazione, come quello sul clan Fasciani di Ostia, il che rende ovviamente la procura molto ottimista sul terzo grado di giudizio. È vero che in almeno uno di quei pronunciamenti era citato espressamente il caso di Mafia Capitale, in una specie di circolo ben poco virtuoso. Ma nel complesso l’orientamento della Cassazione sembra essere del tutto rassicurante per la procura, che in effetti temeva soprattutto questo passaggio.
Buzzi e Carminati non sono i soli imputati eccellenti per i quali è stata riconosciuta l’aggravante mafiosa. Luca Gramazio, il principale esponente politico del centrodestra alla sbarra, è stato condannato a 8 anni e 8 mesi: in assise la condanna era stata a 11 anni. “Sconto di pena” anche per Franco Panzironi, ex amministratore Ama, che passa dalla condanna a 10 anni a quella a 8 anni e 7 mesi. Sul fronte del Pd, condanna confermata per l’ex presidente del consiglio comunale di Roma Mirko Coratti, sul quale non pendeva il 416bis, ma con un passaggio da 6 a 4 anni e mezzo di carcere. Anche per Luca Odevaine, che aveva patteggiato, la pena è stata rideterminata: 5 anni e 2 mesi e interdizione limitata a cinque anni. Otto le assoluzioni.
La sindaca di Roma Virginia Raggi, presente nell’aula bunker al momento della lettura della sentenza, esulta con la procura: «Criminalità e politica corrotta hanno devastato Roma. Noi proseguiamo sulla strada della legalità». Per M5S il riconoscimento dell’associazione mafiosa è allo stesso tempo un alibi per gli scarsi risultati raggiunti sinora nell’amministrazione di Roma e una freccia acuminata nella faretra della propaganda. Non a caso sono quelli che si fanno più sentire. Roberta Lombardi, ras del movimento a Roma, twitta: «Oggi il sodalizio criminale che ha rovinato Roma viene chiamato con il suo nome. I cittadini onesti già lo sapevano».
Più imbarazzato il Pd, anche se il presidente della Regione Nicola Zingaretti non esita a giubilare perché «oggi per Roma si apre una pagina nuova».
Molto diverse le reazioni degli avvocati difensori. Per il legale di Buzzi, Alessandro Diddi, si tratta di una «bruttissima pagina per la giustizia»: promette di non fermarsi alla sola Cassazione. Naso, avvocato di Carminati, è più moderato ma non meno critico: «O non capisco più niente di diritto io o qualcosa di stravagante ha influito». L’ultima parola, però, la scriverà la Cassazione.
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