Il giorno dopo aver portato a segno il blitz contro la Corte dei Conti, il governo pensava di essersi messo al riparo dalle critiche più pesanti. Convocato a palazzo Chigi il vertice della magistratura contabile, aveva ottenuto un comunicato congiunto con il generico impegno a un futuribile «Codice dei controlli». Ma nell’attesa di imporre la fiducia alla camera sul decreto Pubblica amministrazione, divenuto lo strumento per mettere ai margini i controllori contabili sul Pnrr, ecco piovere sulle spericolate manovre romane la condanna di Bruxelles. Ieri mattina uno dei portavoce della Commissione risponde in maniera netta a una domanda sull’Italia: «Monitoreremo con grande attenzione cosa prevede la bozza di legge, i sistemi di controllo nazionali costituiscono i meccanismi principali per proteggere gli interessi finanziari dell’Unione». E a palazzo Chigi ci restano malissimo.

Passano le ore e, malgrado i tentativi del governo italiano, da Bruxelles non arriva nessuna correzione, come altre volte in passato era successo per abbassare la tensione. Così a sera palazzo Chigi diffonde una nota lunga e puntigliosa, cominciando con il criticare il fatto che il portavoce a Bruxelles «afferma che la Commissione non commenta i progetti di legge, ma subito dopo fa seguire considerazioni che alimentano polemiche politiche strumentali che non corrispondono alla realtà». È uno scontro tra i più duri tra Roma e la Commissione europea, proprio sul terreno più delicato per il nostro paese che è in trattativa per la revisione del Pnrr e non ha ancora ottenuto lo sblocco del pagamento della terza rata del Piano.

Nella sostanza la risposta del governo Meloni alla Commissione è però assai burocratica. Non potendo smentire che la nuova versione del decreto Pubblica amministrazione cancella i controlli concomitanti della Corte dei conti, dal 2020 previsti per i «principali piani, programmi e progetti relativi agli interventi di sostegno e di rilancio dell’economia nazionale», proprio per il più importante di questi Piani, il Pnrr, palazzo Chigi precisa che il nuovo decreto non modifica il testo di riferimento degli accordi Roma-Bruxelles sull’attuazione del Pnrr, concordato nel 2021. Ma quello che ha detto ieri il portavoce della Commissione – molto chiaro sul fatto che «abbiamo un accordo con l’Italia sulla necessità di avere un sistema di controlli efficaci sul Pnrr ed è responsabilità delle autorità italiane che questi enti siano in grado di lavorare» – è sulla scia di quanto dichiarato già giovedì da Paolo Gentiloni. Il commissario italiano ha spiegato come l’Ue effettui controlli solo «sulla carta» e spetti dunque «ai sistemi di controllo dei vari paesi verificare che non ci siano fenomeni di frode o doppia spesa». E ha dovuto precisarlo perché la motivazione con la quale il governo ha accompagnato la decisione di cancellare i controlli in corso d’opera sulle opere del Pnrr è stata che questi controlli li fa già l’Unione europea. Non è così: la Ue non prevede alcuna forma di controllo concomitante, le sue verifiche le fa a saldo mettendo a confronto gli impegni approvati e le opere effettivamente realizzate.

Nella polemica con Bruxelles, il governo non esita a schierare al suo fianco «illustri costituzionalisti», intendendo per questi gli ex presidenti della Corte costituzionale Mirabelli e Coraggio e l’ex giudice della Corte Cassese che in tre interviste hanno approvato le mosse del governo contro la Corte dei conti. Mosse in realtà provocate dal primo e unico intervento pesante del collegio del controllo concomitante sulle opere del Pnrr (dopo 47 che si erano limitati a una raccomandazione), finito con l’indicazione di precise responsabilità disciplinari dell’amministrazione. La reazione del governo è stata emarginare i controllori. Anche se, come ha spiegato il presidente della Corte, Carlino, in audizione alla camera, la mossa rischia di provocare un aggravio di tempi e costi, non essendo eliminabili le verifiche contabili a consuntivo, quando il danno è prodotto.

Nella sua piccata nota di ieri sera il governo ricorda anche che la decisione di tenere in piedi per un altro anno, fino al 30 giugno 2024, lo scudo erariale non può essere ritenuta un’idea originale dell’esecutivo Meloni. È proprio questa in realtà la misura che preoccupa di più i magistrati contabili, che già si erano sollevati nel luglio 2020 quando fu il Conte uno a limitare la responsabilità degli amministratori pubblici ai soli casi di dolo (escludendo dunque anche la colpa grave). Palazzo Chigi adesso ricorda all’Europa che lo scudo era stato prorogato da Draghi: «La norma è in vigore già da tempo e non ci sono state osservazioni da parte della commissione».

Ieri però è stata l’Associazione nazionale dei magistrati contabili a farsi sentire con una nota, più volte rimandata nei giorni scorsi fintantoché l’emendamento non è stato approvato. «Le ragioni fondanti della proroga dello scudo erariale sono venute meno – scrive l’Anm contabile – protrarre l’esclusione della responsabilità per colpa grave commissiva pone rilevanti dubbi di costituzionalità e di compatibilità con la normativa comunitaria e genera un clima di deresponsabilizzazione che non rafforza, ma depotenzia, l’efficacia dell’azione amministrativa».