Contro l’androcentrismo in economia
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Contro l’androcentrismo in economia

Femminismi Dotarsi di dispositivi di analisi, elaborare progetti per una nuova governance economica
Pubblicato circa un mese faEdizione del 12 ottobre 2024

Più volte mi sono interrogata sul rapporto su donne e denaro, come simulacro del potere detenuto da un agente economico rappresentativo dalle caratteristiche tutte maschili (homo oeconomicus). E come ho affermato in diverse occasioni, credo fermamente nel ruolo della sorellanza come strumento per creare reti di supporto a una agency femminile che contrasti il concetto di mercato sostenuto dal sistema/denaro sessuato.

Le specificità dell’esercizio del potere esercitato dalle donne sono state bene illustrate in un articolo comparso su inGenere (Le donne e il tabù del potere, 2014) ma c’è sempre più bisogno, a mio modo di vedere, di visioni allargate e relazioni empatiche per volgersi al percorso complesso che innovazione e globalizzazione ci hanno aperto davanti. Soprattutto alle donne deve essere data la possibilità di usare e gestire il potere nel rispetto pieno di sé stesse e delle proprie scelte di vita. Misurarsi col potere economico penso sia sempre di più una tappa obbligata, anche perché è su questo terreno che ci viene rivolta la sfida più radicale. Rinunciare a questa sfida significa lasciare ferma la società in una condizione di inadeguatezza e impotenza rispetto a problemi che gli strumenti maschili non governano più.

Ho partecipato di recente alla stesura di un Manifesto per la rinascita economica firmato da circa 400 colleghi e colleghe. La nostra tesi è che il paradigma mainstream costruisce una rappresentazione della realtà parziale e distorta, producendo così effetti dannosi, soluzioni politiche socialmente inefficienti e risultati spesso non etici. Per questo motivo, suggeriamo percorsi verso un paradigma alternativo, più ampio, empiricamente fondato, per salvare l’economia (politica), rimettendola in rotta dalla sua deriva androcentrica.
L’economia tradizionale postula generalmente che gli esseri umani prendano le loro decisioni come se le emozioni, i sentimenti e l’intero ambito sentimentale fossero irrilevanti. Invece, l’evidenza consolidata (e tuttora crescente) di pregiudizi cognitivi pervasivi mette seriamente in dubbio che questa sia una rappresentazione corretta e utile della realtà, in particolare in termini di processi decisionali complessi, interpretabili in ottica di genere.

L’aver trascurato l’importanza delle relazioni è implicito nel disinteresse per le dinamiche del nostro sviluppo come esseri umani, tipico dell’approccio dell’homo oeconomicus. Come ha osservato Julie Nelson (Feminism and Economics, 1995), adottando questa concezione della natura umana, gli economisti hanno messo in pratica il suggerimento di Thomas Hobbes, che scriveva: «Consideriamo gli uomini… come se fossero già spuntati dalla terra, e all’improvviso, come funghi, giunti a piena maturazione, senza alcun tipo di impegno reciproco». L’homo oeconomicus, nascerebbe, dunque, completamente formato, con preferenze pienamente sviluppate, pienamente attivo e autonomo. Come scrive Nelson, «non ha infanzia né vecchiaia, non dipende da nessuno e non ha responsabilità per nessuno se non per sé stesso. L’ambiente non ha alcun effetto su di lui, ma è semplicemente il materiale passivo su cui gioca la sua razionalità».

Si consideri, tuttavia, il pregiudizio di genere implicito nel considerare questo «uomo fungo» come rappresentativo di ciò che è importante negli esseri umani come agenti economici. Occorre fare una chiara distinzione tra l’analisi a livello di sesso (distinzione biologica) e l’analisi a livello di genere (come costrutto sociale). La definizione di sfere separate per uomini e donne nell’economia contraddice un’analisi secondo cui le distinzioni di genere sono costruite socialmente piuttosto che determinate biologicamente.

L’homo oeconomicus non descrive bene né le donne né gli uomini. Una visione dell’agente maschile come autonomo, razionale e distaccato da contrapporre a quella di un agente femminile dipendente, emotivo e connesso è altrettanto distorsiva. Dietro l’autonomia degli uomini troviamo spesso il lavoro (non retribuito) delle donne; credere che queste donne siano economicamente inattive significa chiudere gli occhi sulla riproduzione (sociale) della vita economica. Citando ancora l’articolo di Julie Nelson, «è necessaria una concezione del comportamento che non confonda il genere con i giudizi di valore, né il genere con il sesso».

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