Dodici anni dopo l’ultimo sciopero – che però aveva motivazioni economiche, il presidente dell’Anm era allora Luca Palamara, per trovare un precedente di sciopero contro una riforma bisogna tornare al luglio 2005 – i magistrati italiani sono sul punto di decidere una nuova clamorosa astensione dal lavoro. L’accordo di maggioranza sulla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario ha peggiorato, agli occhi delle toghe, la già discutibile proposta della ministra Cartabia.

Sono soprattutto due le novità che spaventano i magistrati: il fascicolo per la valutazione delle performance e la separazione netta delle funzioni tra giudici e pm. Ma anche altri punti piacciono assai poco. I magistrati avvertono che il loro punto di vista è finito travolto dalla necessità di trovare un difficile equilibrio (peraltro precario) nella maggioranza. Del resto l’Anm è divisa al suo interno al punto da non essere riuscita a fare una proposta condivisa di modifica della legge elettorale per il Csm. Ma adesso tutte le correnti convergono sulla necessità di una risposta forte.

Il parlamentino dell’Associazione è stato convocato per il 19 aprile, giorno in cui se sarà rispettato il calendario il disegno di legge di riforma arriverà nell’aula di Montecitorio, in un testo quindi a quel punto più difficile da modificare. Non si è riusciti a convocare il Comitato direttivo centrale prima, ma le posizioni sono già chiare. A chiedere esplicitamente lo sciopero immediato sono, come da tradizione, la corrente di centrodestra Magistratura indipendente e la corrente che da quel ceppo, per via di scissione, provien,e Autonomia e indipendenza (la corrente fondata da Davigo).

La riforma del Csm, secondo Mi, punisce «i magistrati più liberi, quelli che vogliono decidere secondo la loro coscienza» e per questo l’Anm «deve adottare tutte le forme di protesta più efficaci». «La riforma sta andando avanti senza una benché minima interlocuzione con la magistratura, qualunque nostra proposta per migliorarla ha incontrato un muro, l’unica via che resta e dire un forte no e farlo sapere alla pubblica opinione», dice AeI.

«Si sta disegnando un magistrato pavido e burocrate e una giustizia di tipo difensivo che pregiudicherà la tutela dei diritti dei cittadini», dice Mariarosa Savaglio, la segretaria di Unità per la costituzione, la corrente delle toghe di centro. Mentre per Eugenio Albamonte, segretario di Area, il raggruppamento di sinistra, le novità sono «animate da una chiara intenzione vendicativa nei confronti della magistratura» e disegnano «un sistema giudiziario forte con i deboli e debole con i forti, ripiegato sulla gerarchia».

Secondo Albamonte, l’Anm deve «proclamare lo stato di agitazione con una serie di manifestazioni intermedie e, se nulla cambia, uno sciopero». Per Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica, la corrente di sinistra, lo sciopero può essere inevitabile perché «le novità sulla valutazione di professionalità e sulla separazione di fatto delle carriere hanno un impatto pesante e grave sulla qualità del servizio giustizia offerto ai cittadini che così rischia di diventare conformista e poco attento ai diritti». Secondo Musolino «un legislatore saggio avrebbe dovuto prevedere l’obbligo per i pm di fare un’esperienza nel giudicante per tenerli nell’alveo culturale della giurisdizione e renderli più restii a schiacciarsi sulla polizia giudiziaria, invece qui si fa l’opposto».

Ieri intanto nei primi voti in commissione alla camera l’accordo di maggioranza ha retto, anche la Lega si è adeguata e i voti contrari di Italia viva non sono ma stati decisivi. Ma il lavoro è partito piano e l’appuntamento con l’aula può slittare.