Alla fine nella maxi inchiesta della Digos e della Procura di Torino contro esponenti dello storico centro sociale Askatasuna spunta anche il Kurdistan.

Potrebbe stupire se non si tenesse conto dei precedenti giudiziari nel capoluogo piemontese: la pm Manuela Pedrotta è la stessa che trascinò di fronte al Tribunale di Sorveglianza di Torino cinque ex combattenti italiani delle unità popolari di autodifesa curdo-siriane, le Ypg e le Ypj, chiedendone la sorveglianza speciale.

IL PROCEDIMENTO si chiuse con una misura di riduzione della libertà personale a danno di Maria Edgarda Marcucci (l’unica donna dei cinque), per due lunghi anni privata dei propri diritti a fronte della commissione di zero reati.

Ora la lotta di liberazione curda contro l’Isis e contro gli attacchi militari turchi ritorna nel dossier della Digos, quasi 2mila pagine, accolto in toto dalla Procura e pure dal giudice per le indagini preliminari, che il 29 luglio scorso ha rinviato a giudizio 28 esponenti di Askatasuna, di cui 16 per associazione per delinquere (prima udienza il prossimo 20 ottobre).

Nel super faldone, concentrato in particolare sulla mobilitazione No Tav, sta anche un riferimento a «tecniche di guerriglia mutuate verosimilmente da altri territori di conflitto bellico (vedi il Kurdistan) e adattate al particolare contesto boschivo». Segue spiegazione: «ordigni esplosivi» usati per aggredire le forze dell’ordine e «uno strumento artigianale equiparato a un’arma letale in grado di lanciare oggetti a lunga gittata a una velocità da proiettile».

Bizzarra l’immagine che nei corridoi della Procura di Torino devono avere della resistenza curda contro Daesh e contro le milizie islamiste filo-turche: come spiega su Facebook Davide Grasso, docente ed ex combattente Ypg, uno di quelli finiti di fronte al Tribunale di Sorveglianza, «le tecniche militari o di guerriglia che si usano in Kurdistan non possono essere paragonate alle forme di tafferuglio che hanno luogo nei contesti di piazza (o di bosco) europei. La gravissima ed estesa letalità delle guerre del Medio Oriente non trova riscontro nelle piazze italiane o nei boschi della Val di Susa, dove – per fortuna in rari casi – solo le “tattiche” delle forze dell’ordine hanno causato morti o ci sono andate vicino (da Carlo Giuliani a Luca Abbà, tanto per capirci)».

GRASSO IMPUTA il collegamento tra Val di Susa e Kurdistan al tentativo di accusare di reati pesanti i movimenti torinesi e quello No Tav. Un tentativo ravvisato anche da Claudio Novaro, legale degli esponenti di Askatasuna rinviati a giudizio.

«L’idea è desertificare il conflitto sociale a tutti i livelli – spiega al manifesto – anche se poi in tribunale l’intero impianto accusatorio crolla. I più esposti, i movimenti per la lotta alla casa, degli studenti, quello No Tav, gli anarchici, sono nel mirino. Con l’Asilo occupato hanno agito così: hanno accusato i suoi esponenti, anarchici, di associazione sovversiva. Sia il Tribunale del Riesame che la Corte di Cassazione hanno rigettato tale accusa, ma intanto la Digos e la Procura di Torino erano riusciti a tagliargli le gambe. Con Askatasuna vorrebbero fare lo stesso, ma è un centro sociale radicato nel teritorio, con ramificazioni nel quartiere. Per questo la Procura ha messo le mani avanti dicendo di non voler criminalizzare Askatasuna ma solo alcuni suoi esponenti».

Con una maxi inchiesta fatta di decine di migliaia di ore di intercettazioni e migliaia di pagine di documenti, per un totale di 106 reati contestati (di cui 100 commessi in Val di Susa e sei a Torino) e un bilancio iniziale di 91 indagati, poi ridotti a 28 rinvii a giudizio.

«DI QUESTI NESSUNO è andato in Kurdistan, tra l’altro – aggiunge Novaro – E la cosa assurda è che i reati contestati sono stati commessi da persone che non sono esponenti di Askatasuna. L’idea di “progetto criminoso” della Procura è assurda ed è la debolezza principale della tesi accusatoria».

«Un processo costruito sul nulla, in cui la Digos è il deus ex machina. A Torino c’è un ribaltamento dei ruoli: è la polizia giudiziaria che decide». E che era arrivata in un primo momento a paventare l’associazione sovversiva per Askatasuna (come per l’Asilo, tra l’altro): «Ma le finalità di questa presunta associazione non sono del tutto esplicitate, il capo di imputazione non è preciso». Appuntamento al 20 ottobre.