Conte guarda ai risultati del Lazio e pensa al futuro dell’alleanza col Pd
Regionali La partita del m5s e il duello per l’egemonia
Regionali La partita del m5s e il duello per l’egemonia
Comunque vadano, queste elezioni regionali lasceranno un segno a sinistra. Quando, lunedì pomeriggio, Giuseppe Conte si ritroverà nella sua stanza alla sede di via Campo Marzio per scorrere i primi risultati delle elezioni regionali inevitabilmente si troverà a tenere d’occhio il risultato del Partito democratico nel Lazio. Quel dato, e il raffronto tra i consensi raccolti dal suo Movimento 5 Stelle e gli ex alleati, determinerà la fase politica successiva e i rapporti con il nuovo inquilino del Nazareno.
I 5 stelle hanno ampi argomenti per sostenere di aver rotto la maggioranza di cui facevano parte nel Lazio per restare coerenti con il loro programma, in opposizione all’inceneritore e in difesa della sanità pubblica. Possono dire che non potevano fare altro, dopo che il centrosinistra ha scelto unilateralmente il suo candidato, aprendo al Terzo polo. Hanno buon gioco a rivendicare il loro appoggio a Majorino in Lombardia per far capire che non hanno alcuna pregiudiziale. Tutto vero, ma non è difficile intuire che ben prima che cominciasse il confronto sui temi, Conte ha scelto di rompere con il centrosinistra. E lo ha fatto per motivi che interrogano le tattiche e i percorsi di medio periodo della politica nazionale più che le questioni di merito che incombono sulla Regione Lazio.
Il leader si trova a un passaggio chiave. È riuscito nell’impresa impossibile di prendersi davvero il Movimento 5 Stelle, creatura che pareva ingestibile e destina all’implosione. A meno di otto mesi dalla scissione di Di Maio e a sei dall’inizio della legislatura appare evidente che poco o niente è rimasto dell’universo che avevamo imparato a conoscere nei primi dieci anni di esistenza del grillismo. Prima ha fatto fuori Casaleggio e la piattaforma Rousseau, il che ha significato liberarsi della zavorra ideolgica che impediva la collocazione sul fronte progressista. Poi è arrivato il turno di Luigi Di Maio e dell’ala moderata del M5S, immolati sull’altare della rottura con Draghi.
A quel punto, grazie all’unica norma fondativa difesa con determinazione provvidenziale, Conte si è liberato di tutte le altre incrostazioni di potere che si erano andate sedimentando in due legislature. Compare di rado e sullo sfondo l’ex presidente della Camera Roberto Fico. La stessa Paola Taverna, che aveva sposato la battaglia interna dell’ex presidente del consiglio, ha coordinato il lavoro sul programma del Lazio ma non si è vista quasi mai agli appuntamenti di punta di questa campagna elettorale. Ha dovuto subire la scelta di Conte anche Roberta Lombardi, che da assessora alla transizione ecologica con Nicola Zingaretti perorava la causa del ritorno al campo largo, e poco e niente si è vista nelle scorse settimane la sua arci-rivale interna Virginia Raggi, che a regole invariate ha esaurito le sue cartucce elettorali da consigliera comunale all’opposizione in Campidoglio.
Tuttavia dalla prossima settimana si aprirà un’altra partita. Perché sa bene, Conte, che non può aggirare all’infinito la questione dell’alleanza con il Pd e la ricostruzione di un centrosinistra allargato che sia davvero in grado di sfidare le destre. Molto dipenderà dagli esiti del lungo congresso Pd, ma non è detto che gli dispiaccia davvero se tra i dem dovesse spuntarla Bonaccini, che gli lascerebbe ulteriore spazio a sinistra. All’appuntamento della coalizione, tuttavia, l’avvocato vuole arrivare con i rapporti di forza che gli garantiscano di trattare senza essere messo all’angolo. «Il modo di fare dei dirigenti del Pd corrisponde a un’era politica che non esiste più – ripetono dall’inner circle contiano – Non possono più permettersi di dare le carte, non hanno i numeri». Il tentativo di allargare il bacino pentastellato al «polo progressista» che sostiene Donatella Bianchi ad opera di Stefano Fassina e degli ex verdi Alfonso Pecoraro Scanio, Paolo Cento e Loredana De Petris va letto anche in questa chiave. Per questo bisogna tenere d’occhio il il risultato di questa lista (che nel caso laziale tiene dentro, seppure senza simbolo, Sinistra italiana) per capire se esiste uno spazio a sinistra accanto al M5S.
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