Condanne a morte, appello delle madri iraniane: «Liberateli tutti»
Iran Le madri di Kharavan chiedono la liberazione di tutti i prigionieri politici e la sospensione delle pene capitali, mentre monta la paura per altre due possibili impiccagioni. Amnesty accusa Teheran: bambini uccisi per distruggere la protesta
Iran Le madri di Kharavan chiedono la liberazione di tutti i prigionieri politici e la sospensione delle pene capitali, mentre monta la paura per altre due possibili impiccagioni. Amnesty accusa Teheran: bambini uccisi per distruggere la protesta
Hanno preso parola anche loro, le Madri di Kharavan. Come le argentine di Plaza de Mayo, sono le donne iraniane che dagli anni Ottanta chiedono conto della sparizione dei propri cari nelle prigioni dela Repubblica islamica.
Il movimento, molto più fluido di quello argentino – nacque negli anni della guerra con l’Iraq e prese vigore alla fine del decennio, con le esecuzioni di massa nelle carceri di oppositori comunisti al regime khomeinista, uccisioni che raggiunsero l’apice nel 1988: fu l’attuale presidente iraniano Ibrahim Raisi, da procuratore aggiunto del tribunale rivoluzionario di Teheran, a firmare la condanna a morte di circa 5mila oppositori marxisti.
Venerdì le Madri di Kharavan hanno chiesto la fine immediata delle condanne a morte già comminate e il rilascio di tutti i prigionieri politici, 18mila stimati in tre mesi di rivolta (tra loro anche 60 giornalisti, tantissimi altri quelli convocati e minacciati).
L’APPELLO è giunto poco dopo la notizia della prima impiccagione, quella del giovane rapper Mohsen Shekari. Ne potrebbero seguire altre: se sono almeno undici i manifestanti già condannati da un tribunale alla pena capitale (anche se IranWire, portale gestito da giornalisti iraniani in diaspora, con sede negli Stati uniti, ieri parlava di 28 condanne a morte) per il reato di «insulto a dio», ieri in Iran i social media riportavano di due possibili nuove impiccagioni.
Mahan Sadrat, 23 anni, sarebbe stato trasferito nel carcere di Rajaei Shahr, a est della capitale Teheran, per l’esecuzione. E poi Mohammed Mehdi Karami, 21 anni.
Giovanissimi, come la stragrande maggioranza delle vittime della repressione di stato: dei 458 uccisi, 63 sono bambini tra i due e i 17 anni e 29 donne. Molti minorenni dunque, come denunciato ieri in un rapporto da Amnesty International che accusa le autorità di Teheran di insabbiare le uccisioni di bambini nelle piazze.
Le modalità sono brutali: le famiglie minacciate di non vedersi restituire i corpi delle figlie e dei figli nel caso in cui ne denuncino la scomparsa o trasformino i funerali in una protesta. Come accade ormai quasi ovunque, le minacce servono a poco di fronte all’esasperazione popolare.
IN ALCUNI CASI, scrive Amnesty, i corpi vengono preparati per le sepoltura dalle stesse autorità, impedendo così alla famiglia e alla comunità di seguire i propri riti religiosi e identitari.
«Le autorità uccidono i bambini per spezzare lo spirito di resistenza dei giovani del paese – ha commentato Heba Morayef, direttrice dell’organizzazione per Medio Oriente e Nord Africa – Non solo condannano le famiglie a una vita di inconsolabile dolore ma gli infliggono un’ulteriore angoscia con restrizioni crudeli alle sepolture e alle commemorazioni con l’obiettivo di zittirle».
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