Con Pinotti-Renzi tornano a crescere le spese militari
Rapporto Milex L'anno prossimo il budget sarà di 23, 4 miliardi, di nuovo in crescita da due anni
Rapporto Milex L'anno prossimo il budget sarà di 23, 4 miliardi, di nuovo in crescita da due anni
Viene sonoramente smentita la ministra della Difesa Roberta Pinotti: la spesa militare dell’Italia non è affatto diminuita, come lei ha detto a più riprese con disappunto. La spesa per armi e soldati negli ultimi due anni, cioè con lei, ha ripreso ad aumentare, dopo una battuta d’arresto sotto il governo Letta e nel primo anno di Renzi. E nel 2017 raggiungerà la vetta dei 23,4 miliardi di euro (+ 0,7 % rispetto al 2016). Significa che si spendono su questa voce 64 milioni di euro al giorno, 2,7 milioni all’ora, 45 mila euro al minuto.
E in questo settore viene congelato poco meno dell’1,4 del Pil nazionale. A tutto vantaggio delle 112 industrie armiere (12 grandi e cento piccole e medie) beneficiate dalle commesse statali, essenzialmente del gruppo Finmeccanica (ora Leonardo), di Fiat-Iveco e di Fincantieri, che in tutto impiegano 50 mila occupati, contro i 3,9 milioni di occupati nelle piccole e medie imprese del settore civile.
La prima analisi dettagliata dell’andamento della spesa militare dello Stato italiano parte dal 2006 (anno-base perché il primo con dati comparabili) per arrivare al bilancio previsionale del 2017 ed è realizzata dall’Osservatorio Mil€x (www.milex.org).
Lo studio completo sarà pronto a gennaio ma ieri ne è stato anticipato un estratto, che comunque riesce a districarsi sul groviglio dei budget, prendendo in esame non solo il bilancio della Difesa ma anche tutti i capitoli di spesa «militari» in capo al ministero dello Sviluppo economico, come le missioni militari all’estero e i programmi di «ammodernamento e acquisto» di armamenti. Armi prodotte e acquistate a getto continuo, che vanno a ingrossare luoghi come «il cimitero dei carri armati» di Lenta in provincia di Vercelli.
Senza contare il programma più oneroso di tutti, quello dei caccia Joint Strike Fighter F35, un investimento talmente esoso e per una tecnologia così poco sicura e innovativa che, non soltanto Francia e Germania si sono rifiutate di partecipare al progetto, ma persino il presidente eletto Donald Trump in un intervista radio si è impegnato a tagliare drasticamente, una volta approdato alla Casa Bianca.
Tra gennaio e febbraio si vedrà se Trump e il suo team alla Difesa Usa manterranno il giudizio sui velivoli della Lockheed Martin. L’Italia intanto prosegue indefessa l’impegno assunto nel 2009 (inizialmente 131 F35 poi ridotti a 90 nel 2012) per un budget complessivo già rilievitato a 13,5 miliardi, anche per pagare i quali il governo ha acceso mutui con interessi stellari (circa il 30 per cento del capitale, dice il rapporto di Mil€x), contratti con vari istituti di credito tra cui Intesa, Bbva.
Un contratto d’acquisto tira l’altro e così a rate l’Italia dovrà comprare anche una nuova portaerei e sette fregate, più nuovi carri armati Centauro 2, elicotteri d’attacco Mangusta 2. Si dice che potranno servire anche per soccorrere i migranti. Ma in realtà – dimostra il rapporto – «il cliente nazionale serve come referenza per l’export». In Turchia i Mangusta italiani, rinominati T129 Atak, sono utilizzati contro i kurdi.
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