Con la pistola alla conquista di donne e «centro»
Yes, she can! Un rilevamento della Cnn assegna il 63 a Harris, il 37 per cento a Trump. Ma andando oltre la corsa dei cavalli che tanto eccita i media, più prosaicamente il risultato tangibile per Kamala Harris è il bottino di donazioni
Yes, she can! Un rilevamento della Cnn assegna il 63 a Harris, il 37 per cento a Trump. Ma andando oltre la corsa dei cavalli che tanto eccita i media, più prosaicamente il risultato tangibile per Kamala Harris è il bottino di donazioni
Yes, she can! Lo slogan d’investitura lanciato da Barack Obama nel suo discorso alla convention di Chicago è perfetto per sintetizzare in tre parole l’esito del duello televisivo di Filadelfia. Kamala Harris può. La candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti ce la può fare. Sarà dura, ma la partita finale, decisiva, per la presidenza, è aperta e può concludersi il 5 novembre con la sua vittoria.
La riserva entrata in campo quando per i democratici il match sembrava irrimediabilmente compromesso rimette la palla al centro. Come i gol all’ultimo minuto del mitico juventino Renato Cesarini, i suoi attacchi in questa fase conclusiva della corsa presidenziale “vanno in rete” spiazzando Donald Trump. Lo costringono a giocare di rimessa e in difesa, e lui è pessimo nel gioco difensivo, come s’è visto nel dibattito televisivo di martedì notte ma anche nei duelli a distanza che l’hanno preceduto, iniziati il 21 luglio scorso dopo il drammatico passo indietro di Joe Biden. Con l’ingresso in corsa della vicepresidente, s’è visto un Trump sempre più nervoso e incoerente – mentre i sondaggi segnalavano una forte ascesa della sfidante – al punto da essere tentato di sottrarsi al duello tv.
I dibattiti televisivi sono sopravvalutati nella loro capacità di influenzare significativamente una corsa presidenziale. Sono rari i casi in cui sono stati davvero determinanti. Ma proprio il penultimo, il 28 giugno scorso, lo è stato, al punto da imporre l’uscita dalla corsa di Joe Biden. Anche per questo il dibattito condotto dalla ABC era carico di grandi attese ed era considerato decisivo. Un insuccesso o anche uno stentato pareggio sarebbe stato fatale per la candidata democratica. È accaduto l’opposto. L’arcinemico Elon Musk riconosce che Kamala Harris «è andata oltre le aspettative di molti». E, dopo l’infausta sfida televisiva, Trump, nel suo stesso campo, è trattato con il riguardo con cui Biden è stato messo alla porta dai suoi: gentilmente, l’analista politico di Fox News, Brit Hume, dice che Trump ha avuto «una brutta serata», le esatte parole dette a Biden da sodali come Obama e Pelosi dopo il duello catastrofico con lo sfidante repubblicano; brutale Lindsey Graham, potente esponente conservatore, che definisce un «disastro» la performance del suo amico. «Harris non solo sta vincendo. Trump sta perdendo», è la sentenza dello stratega repubblicano Frank Luntz mentre è in corso il dibattito, irritato dall’ex-presidente che ha appena definito il suo adulatore, Viktor Orbán, «uno degli uomini più rispettati» al mondo.
I sondaggi a caldo confermano il ko. Un rilevamento della Cnn assegna il 63 a Harris, il 37 per cento a Trump. Ma andando oltre la corsa dei cavalli che tanto eccita i media, più prosaicamente il risultato tangibile per Kamala Harris è il bottino di donazioni: in sole tre ore, dopo il dibattito, la piattaforma democratica ActBlue ha raccolto oltre 23 milioni di dollari, arrivando così a oltre un miliardo di dollari ricevuti dai donor dal 21 luglio scorso, giorno d’inizio dell’impresa di Harris. L’altro grande risultato è il sostegno ricevuto da Taylor Swift. Non s’aggiunge semplicemente alla lista delle tante celebrities che hanno dato il loro appoggio a Harris, lei è molto più che una star, è la leader di un mondo di fan estremamente a lei devoti, pronti a tutto pur di dimostrare amore e lealtà per lei, 283 milioni di ragazzi e giovani, gli swifties.
Con i riflettori puntati più sul linguaggio del corpo dei due contendenti che sui contenuti, è finito in secondo piano il suo posizionamento politico, non più come vice ma come candidata. L’assillo di non essere considerata una copia di Biden, attenta nel contempo a non prendere distanze dal suo ancora attuale “capo” che non suonino critiche, ha sicuramente condizionato la sua “linea”. Il risultato? Un discorso decisamente “centrista”, rivolto all’elettorato moderato in bilico, specie repubblicano. Harris dà per scontato il sostegno degli altri segmenti elettorali, anche a sinistra, in odio a Trump, disposti a ingoiare pure l’endorsement del diabolico Dick Cheney, ma anche il sì al fracking – emblema del massimo disprezzo per l’ambiente – con in più la benevolenza verso le armi da fuoco, che lei stessa si è vantata di possedere. In stretta continuità con Biden la politica internazionale, con un modesto distanziamento dal presidente sulla questione palestinese, dove non arriva a prefigurare la creazione di un nuovo stato ma una un’indefinita autodeterminazione. Siccome in politica le somme dei voti sono algebriche andrà visto se queste manovre – solo tattiche? – fanno perdere più voti di quanti ne facciano arrivare.
A tenere insieme il variegato corpo elettorale che le dovrebbe consegnare la maggioranza il 5 novembre, il tema su cui ha insistito di più e con più efficacia, nella parte iniziale del dibattito la più vista, di fronte all’emblema della misoginia e del maschilismo oltranzista: i diritti riproduttivi della donna, il rispetto della donna e delle donne, temi che stanno ovviamente a cuore all’elettorato femminile, trasversalmente, anche a destra. Unito al sostegno di Taylor Swift – in chiave di solidarietà femminile – sembra questo il dato politico saliente in grado di produrre spostamenti significativi di pezzi importanti di elettorato verso Kamala.
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