Giocare a calcio sotto le bombe, giocare a calcio mentre si pensa alle bombe. La situazione è difficile, quasi impossibile. «Non è facile concentrarsi sulla partita. I ragazzi controllano ogni minuto le notizie sui telefonini, in albergo, sul bus, anche durante gli allenamenti. Ma dobbiamo farcela, abbiamo una grande responsabilità. Siamo gli ambasciatori del nostro paese, dobbiamo ricordare al mondo che la Palestina esiste».

COSÌ HA PARLATO nella conferenza stampa di ieri Makram Daboub, allenatore tunisino della Nazionale di calcio maschile palestinese, che oggi esordisce nella Coppa d’Asia affrontando alle 18,30 l’Iran. È la terza partecipazione per i Leoni di Canaan, soprannome della squadra riconosciuta dalla Fifa solo nel 1998. In realtà la prima rappresentativa nazionale palestinese esiste da oltre un secolo, quando era ancora colonia britannica e partecipò alle qualificazioni per i Mondiali del 1934 e 1938. Ma anche quella squadra se l’è presa Israele, insieme ad altre cose. E così per trovare la prima squadra della Palestina bisogna arrivare al 1962, per trovare il suo primo riconoscimento al 1974.

POI NEL 1998 SI È SVEGLIATA la Fifa, ed è arrivata la possibilità di partecipare alle competizioni ufficiali. Ma da allora i problemi non sono diminuiti, anzi. Israele ha sempre fatto di tutto per impedire ai calciatori palestinesi di giocare, figuriamoci di muoversi. Anche quest’anno la squadra si è presentata in Qatar senza quasi tutti i giocatori della Striscia di Gaza. Gli unici che ce l’hanno fatta, Mohammed Saleh e Mahmoud Wadi, arrivano direttamente dall’Egitto, dove giocano. «In queste partite la nostra presenza deve servire come monito al mondo, per raccontare quello che sta succedendo e per ricordare a tutti che anche noi abbiamo il diritto di partecipare alle competizioni sportive – ha detto ieri Musab al-Battat, il capitano della squadra -. La speranza è che quello che stiamo vivendo ci spinga a fare sempre meglio, per ottenere quei risultati che i nostri tifosi e la nostra gente meritano».

DOPO LA COPPA D’ASIA, in cui la Palestina nel girone oltre all’Iran affronterà anche Hong Kong e gli Emirati Arabi Uniti, riprenderanno infatti le qualificazioni per i Mondiali del 2026. Un cammino più tortuoso del solito. La squadra è in giro da mesi, senza possibilità di rientrare. Finora le partite si sono giocate nei campi neutri del Kuwait e degli Emirati Arabi, che in patria gli stadi sono stati distrutti dalle bombe.

foto di giocatore della Palestina durante un’amichevole con l’Arabia saudita di Roberto Mancini
La Palestina durante un’amichevole con l’Arabia saudita di Roberto Mancini

Dal 2011 Israele sostiene che gli impianti sportivi sono utilizzati come base di lancio dei missili, quindi sono obiettivi legittimi da colpire. Quando non vengono distrutti, sono utilizzati per rinchiuderci i prigionieri, tra cui donne e bambini, come nel caso dello Yarmouk Stadium di Gaza. Immagini di poche settimane fa, che in altri tempi avrebbero fatto inorridire la comunità internazionale. Mentre oggi invece tacciono tutti, si girano dall’altra parte.

FOSSERO SOLO LE IMMAGINI, poi. Susan Shalabi, vicepresidente della Federcalcio palestinese, ha raccontato che dall’inizio dell’invasione sono 88 gli atleti professionisti ammazzati, più altri 24 tra allenatori e membri degli staff. Di questi atleti uccisi, oltre 70 sono calciatori. Come Ahmed Daraghmeh, 23 anni, che avrebbe dovuto essere in Qatar coi compagni, e invece a dicembre è stato ammazzato dai proiettili delle forze di occupazione israeliana. Neanche a Gaza, in Cisgiordania. O Hani Al-Masdar, 43 anni, ex calciatore diventato poi allenatore della Nazionale olimpica palestinese, ucciso la settimana scorsa dalle schegge di un missile. A pochi mesi dall’inizio delle Olimpiadi, nel silenzio della Fifa e del Comitato olimpico internazionale.

PROPRIO IL MESE SCORSO il Cio ha ribadito che gli atleti russi non potranno gareggiare alle Olimpiadi di Parigi 2024, se non sotto la bandiera neutrale e senza inno nazionale. Perché la Russia ha invaso l’Ucraina. Ma nonostante le richieste pervenute, nessuna squalifica è stata comminata a Israele, che quest’estate potrà sventolare le sue bandiere sugli Champs Elysees.

Come sempre lo sport mondiale si dimostra governato non tanto dai princìpi, quanto dagli interessi economici delle potenze occidentali.