Con Aldo se ne va un compagno curioso e prezioso
Addio Aldo e il suo quartiere, Testaccio, dove d’estate, seduto al bar, incontrava tante persone per parlare di politica. Per questo veniva chiamato Presidente del Soviet
In quella occasione, proprio nella sala della biglietteria della stazione, il compagno Gabrio Vitali aveva scattato una fotografia riprendendo me e Aldo, tutti e due su una sedia a rotelle sulla quale ci aveva appena sistemato il servizio handicappati delle Ferrovie, per accompagnarci al binari. Fotografarci così era stata una trovata autoironica: due vecchietti a rappresentare la vetustà del Manifesto-Pdup.
TUTTI E DUE, ad ogni modo, quell’immagine ce la siamo tenuta, anzi attaccata alla parete. Per me andava bene, per Matusalemme una sedia a rotelle è normale, ma Aldo era giovane (al Manifesto si era iscritto quando faceva il IV ginnasio) e all’aiuto di quel mezzo aveva dovuto ricorrere da quando – 3-4 anni fa – dopo una sequela di malanni che l’avevano trattenuto in ospedale per un lunghissimo tempo.
Da cui si era ripreso sia pure con il sostegno delle stampelle, un po’ zoppo ma il cervello perfettamente funzionante. Abitava a Testaccio e anche a tutto quel quartiere mancherà molto, Al mattino, e poi la sera d’estate, scendeva da casa e si sedeva al bar dove via via lo raggiungevano in tanti per sapere come interpretare i fatti del giorno. Per questo veniva chiamato Presidente del Soviet di Testaccio.
MA ALDO NON AVEVA solo un prestigio politico, era anche al centro della vita sociale della zona: ricordo il lungo periodo del covid durante il quale era difficile incontrarsi, dal suo vasto immobile e da quelli immediatamente vicini, in molti salivano sul terrazzo condominiale, dove di solito si stendono i panni, per ritrovarsi attorno ad Aldo in allegri affollati picnic multiculturali, allestiti da uno stuolo di giovani signore che non l’hanno mai lasciato solo.
Aldo era un personaggio essenziale della nostra vita di manifestini/pduppini, politicamente rigoroso a cui nessuna contraddizione sfuggiva; e insieme ricco di una cultura multiforme.
I SUOI NUMEROSI libri ne sono la testimonianza: da quello su Gino Paoli, di cui era diventato amicissimo, a quello su Zapatero, inaspettato primo ministro socialista spagnolo, alla storia del rapporto fra il Manifesto e poi Pdup con il Pci, cui aveva dato come titolo significativo “Da Natta a Natta”. Perché Natta, in quanto presidente della Commissione centrale di Controllo del Pci, una sorta di tribunale supremo interno al partito, aveva redatto, nel 1969, la sentenza di condanna del primo nucleo dei “manifestini”. Ma poi proprio con loro, vent’anni dopo, si era unito nella mozione numero 2 del XX congresso, quella che aveva cercato di impedire l’operazione di scioglimento condotta da Occhetto.
Molto ha anche scritto, perché ne era innamorato, su due paesi lontanissimi fra loro, non solo geograficamente: Cuba e la Svezia. Per andarci, e poi scriverne, divideva equamente le sue vacanze fra i vecchi quartieri spagnoli dell’Avana e la famosa isola ….. dove era andato ad abitare il regista Bergman di cui era un cultore.
La redazione consiglia:
La lezione di Willy BrandtMA ALDO NON ERA affatto un eccentrico, uno che saltellava da una cosa all’altra. Era curioso, questo si, e menomale. Proprio questa era la sua ricchezza, quella che gli ha permesso di essere politicamente coerente, ma mai schematico o settario.
Ha scritto molto sul manifesto, ma non senza interrompere, sfidando le difficoltà delle rotture. Io ho avuto con lui un rapporto molto stretto perché con me ha lavorato quasi 5 anni nel settimanale Pace e guerra, che ho diretto con Stefano Rodotà negli anni ’80, una presenza preziosa, per la sua cultura, la sua competenza, la sua vastità di interessi.
Negli ultimi anni difficili di Lucio, Aldo gli è stato vicino con costanza e premura, e insieme a Famiano (di cui è sempre rimasto amico stretto) hanno curato una intelligente selezioni dei suoi scritti, preceduta da una lunghissima intervista che raccoglie le sue considerazioni sugli ultimi decenni, quando, chiusa la seconda rivista del manifesto nata nel ’99, Lucio si era ormai ritratto dalla vita politica attiva.
LA CASA DI ALDO è un archivio prezioso, e penso che la prima cosa da fare è ora di metterlo in salvo, non disperderlo e pensare a chi potrebbe prenderlo in cura. Proprio questo faceva della sua casa una meta obbligata per tutti quelli che volevano scrivere sul Manifesto e la sua spesso tormentata storia. Memoria conservata nelle carte ma anche, tanto, nella sua testa.
Nell’ultimo periodo era da lui che si trovavano i giovanissimi che hanno ricominciato a interessarsi delle vicende politiche di un tempo ormai precedente alla loro stessa nascita, E che hanno cominciato a scriverne, uno sguardo nuovo e prezioso. Sono stati parte attiva del riuscito convegno che abbiamo tenuto a Rimini, a novembre, nel decennale della morte di Lucio, il cui sito on line hanno cominciato a ristrutturare e arricchire, nell’ipotesi di unificare finalmente le memorie di Lucio, di Luigi, di Rossana, di tutta la nostra storia. Senza più Aldo ho molti timori che il progetto proceda. La sua scomparsa oltre a darci un grande dolore umano, è anche una perdita politica. Importante.
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