L’amministrazione regionale del Friuli Venezia Giulia pensa in grande: non una norma per il territorio ma un intervento su norme nazionali per modificarle e renderle cogenti erga omnes. La proposta di legge nazionale votata dalla maggioranza nell’ultimo Consiglio regionale, infatti, propone una modifica al Testo unico sull’immigrazione del 1998 offrendo un concreto suggerimento al nuovo governo.

La proposta di legge nazionale vuole modificare sostanzialmente alcuni dei requisiti chiesti agli stranieri in Italia per ottenere il ricongiungimento familiare. Il limite di reddito, in primis, pretendendo che chi risiede regolarmente in Italia da almeno due anni (il TU ne prevede uno) abbia un reddito di almeno 17 mila euro per poter accogliere un parente (sono 9 mila nel TU) ma poi a crescere: non più 12 mila ma 23 mila per due familiari, non più 18 mila ma 35 mila per tre persone e via così. Requisiti che puntano a impedire i ricongiungimenti. I migranti sono solo forza lavoro, nessun benefit, solo sfruttamento.

Primo firmatario della proposta di legge è il leghista Antonio Calligaris, quello che il 4 agosto del 2020 durante la sorprendente occupazione dell’aula consigliare da parte di un manipolo di CasaPound, aveva dichiarato «Io ai migranti sparerei» beccandosi due giorni di sospensione dai lavori del Consiglio (con l’astensione, evidentemente giustificatoria, degli altri consiglieri della Lega). Calligaris, nel presentare la proposta in Regione, ha sostenuto che l’attuale normativa sui ricongiungimenti familiari provoca «fenomeni sociali devastanti» e genera «un incontrollabile flusso migratorio». Monfalconese come la sindaca della città dei cantieri Annamaria Cisint, seconda firmataria della proposta.

Dicono che Monfalcone ormai è una casba, più bangladesi che italiani (i lavoratori stranieri sono un terzo della popolazione residente), un onere insopportabile per le casse comunali. Non dicono che tutta l’economia di Monfalcone si regge su Fincantieri e che Fincantieri prospera sulla pelle dei bangladesi, la stragrande maggioranza dei lavoratori in cantiere, ricattati quotidianamente attraverso spietati meccanismi di appalti e subappalti. Una popolazione che «ha invaso il territorio» come ha sostenuto Antonio Lippolis (Fratelli d’Italia) e che «compromette» abitazioni, scuola e sanità drenando il 60% dei contributi economici previsti. Tutti a fingere di non sapere che i lavoratori stranieri fanno comodo, a Fincantieri come ad altri, che negli anni sono stati chiamati, a Monfalcone come altrove, perché più deboli, più ricattabili, più disarmati nella precarietà di rapporti di lavoro preda anche di clientele, caporalati ed evasioni fiscali. Fa spesso molto comodo essere invasi, a ben guardare.

Battaglia forte in Consiglio regionale, ma inutile, con tutte le opposizioni a contestare una norma discriminante e vessatoria. Compatti PD e 5Stelle, consapevoli di un serio problema di dignità del lavoro nei subappalti della cantieristica e di come questa proposta «tutta ideologica» non solo non tocchi il problema ma serva solo a impedire il ricongiungimento familiare «che è l’unico elemento di integrazione». Indignato il consigliere di Open Sinistra FVG Furio Honsell: «Il vero problema è l’utilizzo di lavoratori costretti a vivere in condizioni così miserabili da non poter neppure mantenere la famiglia. E tutto questo da parte di imprese pubbliche come Fincantieri, che costruisce non solo navi da crociera ma anche navi da guerra. Bisogna condurre una battaglia per il salario minimo». Ma la maggioranza di centrodestra ha ben sopportato il fuoco di fila limitandosi a balbettare qualche stramba risposta, come un paio di consiglieri forzisti (del gruppo Progetto FVG) che si sono trincerati dietro l’improbabile auspicio che «portare il reddito da 9 mila a 17 mila euro potrebbe diventare un incentivo ai datori di lavoro affinché paghino di più questi lavoratori di cui evidentemente hanno bisogno».