Visioni

Colpa e redenzione nei corpi e nello spirito dell’America

Colpa e redenzione nei corpi e nello spirito dell’AmericaJoel Edgerton e Sigourney Weaver in «Master Gardener»

Venezia 79 Fuori concorso «Master Gardener» di Paul Schrader. Il regista ha ricevuto il Leone d'Oro alla carriera

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 4 settembre 2022

Narvel Roth è un maestro giardiniere, la sua vita è scandita da regole e abitudini come quella dei fiori e delle piante che cura. Ogni sera nel silenzio della sua piccola casa l’uomo annota considerazioni sulle diverse specie, di cosa hanno bisogno per crescere, il loro tempo, la fragilità, il loro potere di rigenerazione. Il sontuoso giardino dove l’uomo lavora e che è divenuto un rifugio e la sua intera esistenza appartiene a una ricca aristocratica (Sigourney Weaver) dalle attitudini autoritarie, a parte forse col suo cagnone nero e pigro, ed è governato e accudito da un gruppo di persone di ogni provenienza – quasi un riflesso dell’America – che con lui lavora ogni giorno formando una piccola comunità serena. Perché ogni dettaglio non accordato a quegli equilibri può distruggerne l’armonia scatenando il caos.

COSA è un giardino se non la «messinscena» della società? La storia lo mostra, in ogni epoca il giardino dichiara qualcosa, ha una sua specificità, è segno di opulenza e di potere. E non solo nella sua forma geometrica, quella francese, ma anche nel disordine che è sempre apparente come in quello inglese. È questione di millimetri, di estrema cura e attenzione per i gesti, le scelte di ogni terriccio, la luce, che non trasgrediscano l’ordine necessario. Una metafora dunque che con Paul Schrader si schiude su molteplici significati, religiosi, sociali di cui il linguaggio del giardinaggio traduce le contraddizioni e l’ambiguità. «Estirpare le erbacce» è l’imperativo per il giardiniere: ma cosa vuol dire? Se lì esprime l’ aiutare che si da ai germogli per crescere, per sbocciare altrove può assumere un opposto significato specie se a pronunciarlo sono le voci di quelle forze razziste o illiberali d’America che si nutrono di odio.
Master Gardener, presentato fuori concorso in occasione del Leone d’oro alla carriera consegnato ieri al regista americano, continua la sua esplorazione come First Reformed (2017) e Il collezionista di carte (2021) – coi quali forma una ideale trilogia – dei sentimenti di colpa e redenzione nello spirito (e nel corpo) dell’America di oggi. Il dispositivo che utilizza Schrader è analogo, anche se naturalmente con variazioni. Protagonista è un altro, un uomo chiuso nella sua stanza, il «Master Gardener» (Joel Edgerton), come il giocatore del Collezionista di carte deve espiare un passato feroce senza cancellarlo; per questo ne conserva le memorie indelebili sulla pelle, tatuaggi di odio della sua militanza armata coi suprematisti bianchi. Il flusso della vita lo ha portato poi altrove ma nel suo giardino della grazia sembra avere trovato la giusta direzione. Che è fragile, come per tutti, e può sempre essere minata di inciampi. Nel suo caso sarà l’arrivo della pronipote della proprietaria, una ragazza afroamericana (Quintassa Swindele), anche lei un po’ persa, tossica e invischiata con spacciatori violenti. Tra i due c’è un sentimento di reciproca attrazione, e prima ancora un «riconoscersi» seppure può sembrare paradossale: l’uomo vuole salvarla ma non è questo un modo per arrivare alla propria redenzione?

La sua tensione si scrive sui corpi, universi esposti e celati nel silenzio dei propri fantasmi, nei flash oscuri di un ricordo della vita di prima del protagonista che è oscenità.

COSA racconta dunque Master Gardener? L’America nell’esplosione della sua Storia e in un presente di radicalizzazione delle pulsioni più violente, razzismo, politiche reazionarie, repressione che si materializzano in quella dimensione astratta del giardino tra upper class feroci, suprematisti bianchi, junkies, african american. Gli estremi (opposti) di questa cartografia sono l’uomo e la ragazza che incarna tutto ciò che lui ha odiato e ucciso per anni – «Mi hanno insegnato a odiare chi è diverso da me» le dice. L’incontro che sembra impossibile è negato però dall’attrazione, dalla cura, da un’improvvisa dolcezza che diventa amore. In questo spazio di uno scontro tra culture e visioni del mondo in apparenza appunto inconciliabili, Schrader pone il suo movimento narrativo, che è insieme quello della ricerca di un perdono e del bisogno di consapevolezza.
La sua tensione si scrive sui corpi, universi esposti e celati nel silenzio dei propri fantasmi, nei flash oscuri di un ricordo della vita di prima del protagonista che è oscenità. La parte dell’America che ama Trump e che ha bisogno delle armi, che odia gli afroamericani tutti i migranti, che è povera disgraziata e tossica e che cerca la sua vendetta accanendosi contro chi è ugualmente marginale ma «diverso».
Nello spazio tra questi due personaggi, forse meno teso e estremo che gli altri si gioca questa scommessa che è forse di un futuro. O di una possibile «redenzione».

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento