Ieri in Aula alla Camera sono terminate le votazioni sugli emendamenti al disegno di legge sulla revisione del Codice della strada. I lavori riprenderanno la prossima settimana, con l’esame degli ordini del giorno per poi procedere al voto finale. Quindi il ddl passerà al Senato per la seconda lettura. Sono tempi più lenti di quelli immaginati da Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e grande «sponsor» del disegno, che contiene anche una delega al governo per riformare il testo del Codice.

In Senato per il question time, Salvini ieri ne ha approfittato per fare un punto della situazione che dal suo punto di vista, «da genitore, più che da ministro» come ripete quando cerca la pancia degli italiani, «la sicurezza è il primo punto all’attenzione del governo nel nuove codice della strada, ma l’ideologia di zone Ztl a 30 all’ora e autovelox piazzati in ogni dove solo per fare cassa non hanno nulla a che fare con la sicurezza».

Peccato che non la pensino così le famiglie delle vittime di incidenti stradali, che nei giorni scorsi hanno indirizzato un video al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, chiedendo di mettere in stand-by la riforma.

Tra loro anche Marco Scarponi, fratello di Michele, investito e ucciso da una persona alla guida di un camion nell’aprile del 2017 a Filottrano (An). Al fronte dei contrari, di cui è autorevole esponente il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, accusato a più ripresa di ideologia da Salvini per la scelta di applicare il limite di velocità dei 30 chilometri orari in larga parte della città, si sono uniti anche gli amministratori di 5 città del Nord, tra Lombardia e Veneto: «La sicurezza stradale di pedoni e ciclisti deve essere la priorità. Il testo va rivisto prima che sia troppo tardi» hanno scritto in una nota Stefano Zenoni, assessore all’Ambiente di Bergamo, Federico Manzoni, vicesindaco e assessore alla Mobilità e Camilla Bianchi, assessora all’Ambiente di Brescia, Tommaso Ferrari, assessore all’Ambiente di Verona, Sara Baldinato, assessora all’Ambiente e Cristiano Spiller, assessore alla Mobilità di Vicenza e Andrea Ragona, assessore all’Ambiente di Padova.

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«Chiediamo al governo di ripensarci», scrivono, sottolineando come il ddl indebolisca «la convivenza tra i diversi utenti della strada» senza intervenire «sulla prevenzione delle principali cause di incidenti, su tutte la velocità eccessiva delle auto». Gli amministratori attaccano anche il Codice per la volontà di limitare «pesantemente l’autonomia di azione delle amministrazioni comunali, prevedendo l’intervento del ministero per ogni decisione che riguarda la progettazione e realizzazione di piste ciclabili, di zone a traffico limitato e di aree a basse emissioni, aree pedonali e aree di sosta nelle città, comportando di fatto lo stop all’introduzione, da parte degli enti locali, di strumenti utili a potenziare la sicurezza stradale».

Un dirigismo che non accettano gli amministratori di Brescia, Bergamo, Verona, Vicenza e Padova, perché potrebbe impedire alle città di seguire i modelli europei più virtuosi, per introdurre nelle aree urbane, «su richiesta dei propri concittadini, elementi di moderazione del traffico, interventi per una sana convivenza tra bici e auto e approntato soluzioni per il gravoso problema della sicurezza stradale». Il disegno di legge in esame va invece in senso opposto ed è per questo che ha scatenato una forte mobilitazione da parte di tante associazioni da tempo impegnate a favore di sicurezza stradale e mobilità sostenibile.

Nei giorni scorsi almeno duemila cittadini, ispirati dai promotori della campagna Codice della strage, hanno telefonato alla Camera dei deputati, chiedendo di riferire ai capogruppo dei partiti di maggioranza la propria ferma contrarietà rispetto alla legge in corso di approvazione. Tra i messaggi da recapitare c’è questo: «Del testo salvo poche cose buone, come l’alcool lock e l’inasprimento delle pene per chi guida con il cellulare. Ma sono marginali rispetto a un impianto della proposta di legge che farà fare all’Italia un salto di 40 anni indietro, dichiaratamente contro le evidenze scientifiche della sicurezza stradale».