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Coalizzare il proletariato tecnologico nella Silicon Valley

Coalizzare il proletariato tecnologico nella Silicon Valley

Forza Lavoro Inchiesta sulla Tech Workers Coalition tra San Francisco, la Silicon Valley e Seattle. La prospettiva di unire i magazzinieri con gli ingegneri di Amazon e i fattorini di Deliveroo

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 28 aprile 2018
Alessandro DelfantiSAN FRANCISCO

La Silicon Valley raccontata dai suoi apologeti è un paradiso di informatici privilegiati e creativi. Quella che raccontano i lavoratori è ben diversa. Ormai alcuni dei lati oscuri dell’economia digitale sono ben conosciuti e documentati, come la capacità di aziende come Facebook di sfruttare i dati degli utenti per scopi di sorveglianza, oppure il ruolo di imprese come Amazon nell’organizzare nuove forme di sfruttamento nei suoi magazzini. Quello che è invece più invisibile è il lavoro nel ventre della bestia, cioè nei luoghi dove le grandi multinazionali digitali sviluppano e gestiscono le proprie piattaforme.

Uno degli esperimenti più avanzati di inchiesta e mobilitazione su questi temi è rappresentato dalla Tech Workers Coalition (TWC), una coalizione di lavoratori autorganizzati dell’industria digitale (www.techworkerscoalition.org). Nata a San Francisco, la TWC raggruppa lavoratori da diversi settori della Silicon Valley, dagli ingegneri agli addetti marketing, e di recente si è espansa a Seattle, sede di multinazionali come Amazon e Microsoft. Si pone l’obiettivo di «portare il movimento dei lavoratori dentro alla Silicon Valley» e si dichiara esplicitamente in opposizione agli interessi dell’industria tecnologica. Lo scopo principale della coalizione è quello di costruire ponti di solidarietà tra diverse figure dell’economia digitale. Nella prospettiva di una ricomposizione di classe ci si chiede cosa succederebbe se i lavoratori in mobilitazione dei magazzini potessero collaborare con gli ingegneri che lavorano alla piattaforma di Amazon, oppure se i fattorini di Deliveroo in sciopero si coordinassero con gli informatici che gestiscono la app e quindi l’organizzazione del lavoro sulla strada.

La TWC cerca di organizzare i lavoratori di quel proletariato dei servizi che è cresciuto attorno all’industria digitale nella Silicon Valley. Nell’area della baia di San Francisco, per esempio, ci sono i lavoratori che si occupano delle pulizie, delle mense e di altri servizi dentro le grandi aziende tecnologiche.

In questo quadro vale la pena di analizzare due fenomeni, uno geografico e l’altro relativo alle forme di lavoro. Primo, gli informatici che lavorano nella Silicon Valley possono vivere in contesti urbani interessanti, come San Francisco o Berkeley, e pendolare verso la valle con i bus messi a disposizione dalle aziende stesse. I più noti sono i famigerati «Google bus», le corriere di lusso e anonime che ogni mattina portano gli ingegneri a Google. Sono dotate di wifi e permettono di lavorare durante il tragitto, e negli ultimi anni hanno simboleggiato i processi di gentrificazione e di espulsione di lavoratori e minoranze dai quartieri della baia. Per il proletariato dei servizi, espulso dai centri urbani, il lavoro per le aziende digitali o per le app significa invece muoversi da distanze maggiori, per esempio da aree più periferiche e povere come Richmond o El Cerrito nella parte nord della baia.

Secondo, come documentato di recente da diverse inchieste giornalistiche, le condizioni precarie del proletariato dei servizi permettono agli informatici di confondere completamente i tempi di vita e i tempi di lavoro. Negli ultimi anni, con l’arrivo di migliaia di «techies», giovani informatici in maggioranza maschi bianchi e asiatici che lavorano a Twitter o Facebook, è cresciuta un’industria di servizi organizzati tramite app come Instacart (spesa, cucina, pulizie), TaskRabbit (lavoretti in casa), o Eaze (consegna a domicilio di marijuana). Queste app, che funzionano sui principi della gig economy, impiegano lavoratori precari, in particolare donne e persone «brown» (di origine latina). Fornendo servizi a basso costo permettono a un ingegnere di ordinare da mangiare da casa, farsi svolgere le faccende domestiche o fare la spesa senza sottrarre tempo al lavoro per le grandi imprese digitali, che può quindi invadere tutta la giornata (e nottata). La precarietà del lavoro delle app, svolto in maggioranza da donne e gruppi di lavoratori non bianchi, permette alle imprese di mettere a frutto ancora più intensamente il lavoro creativo degli ingegneri.

Nella prospettiva di costruire un’alleanza tra i lavoratori che producono le piattaforme, quelli che le usano (o ne vengono usati), e i lavoratori dei servizi, la Tech Workers Coalition sta svolgendo un lavoro ispirato all’inchiesta operaia nelle fabbriche italiane negli anni Cinquanta e Sessanta. Si tratta di un’inchiesta fra i lavoratori al servizio delle mobilitazioni. Il primo obiettivo è comprendere le forme di divisione del lavoro e le catene produttive di cui diversi tipi di lavoratori fanno parte. Le riunioni si svolgono nel centro sociale di Oakland, l’Omni Commons, nato nel 2014 sulla scia dei movimenti Occupy. I problemi principali individuati sinora sono tre. Primo, i ritmi di lavoro insostenibili, anche nel lavoro degli ingegneri. Secondo, la mancanza di diversità, accoppiata a fenomeni di razzismo e sessismo sul posto di lavoro. Terzo, i legami tra aziende digitali e fenomeni politici più ampi, come l’elezione di Trump o il ruolo dei media sociali nei fenomeni di sorveglianza basati sulla raccolta dei dati degli utenti.

La Tech Workers Coalition ha partecipato di recente a un convegno intitolato «Log Out! La resistenza dei lavoratori dentro e contro l’economia delle piattaforme», che si è tenuto in marzo all’Università di Toronto, in Canada. Il testo integrale del loro intervento (in inglese) si può leggere a questo link.

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