Climbing, da Arco a Tokyo
Il 3 agosto l’arrampicata sportiva debutta alle Olimpiadi. Uno sport nato negli anni ’80 come ’rivoluzione giovanile’ nell’ambito dell’alpinismo. Nelle falesie del Trentino le prime vie di gara. Lead, speed e boulder: tre specialità molto diverse, ma un unico medagliere
Il 3 agosto l’arrampicata sportiva debutta alle Olimpiadi. Uno sport nato negli anni ’80 come ’rivoluzione giovanile’ nell’ambito dell’alpinismo. Nelle falesie del Trentino le prime vie di gara. Lead, speed e boulder: tre specialità molto diverse, ma un unico medagliere
L’arrampicata sportiva debutta in questa edizione delle Olimpiadi, al termine di un percorso di trasformazione iniziato nei primi anni Ottanta con i pionieri del free climbing. Quarant’anni fa in Italia e Francia una nuova generazione di scalatori cominciò, quasi per gioco, ad arrampicare nelle falesie di fondo valle piuttosto che conquistare le cime delle montagne. Di lì a poco, quella ricerca di un verticale sempre più estremo, ma a portata di mano, diventò una vera e propria competizione: climber sempre più atleti si trovarono ad affinare non solo il gesto tecnico, ma anche a muoversi in uno scenario con regole e palcoscenici predefiniti. Patrick Edlinger, Catherine Destivelle, Stefan Glowacz, Roberto Bassi, Wolfgang Güllich e Marco Preti erano alcuni dei nomi più in vista di quel trend sportivo, grosso modo coetanei dei genitori di Laura Rogora, Ludovico Fossali e Michael Piccolruaz, i nostri portacolori ai Giochi di Tokyo 2020 in corso.
NEL 1985 SI DISPUTÒ a Bardonecchia la prima e vera gara alla presenza di giudici, con i migliori climber del momento quasi imbarazzati a indossare un pettorale. «Sport Roccia 85» fu un momento epocale: si scalava ancora su vie tracciate in parete, ma già allora c’erano prove di difficoltà (l’attuale lead) e velocità (oggi speed), oltre a una valutazione dello stile arrampicatorio. L’anno successivo la città di Arco organizzò una competizione analoga sulla rupe del Colodri e il successo fu enorme, tanto in termini di partecipazione che di pubblico. Nel 1988 la svolta definitiva: la gara trentina, che nel frattempo aveva preso la denominazione di «Rock Master», si disputò per la prima volta su una parete artificiale, con pannelli e prese in materiale plastico. Lo “stadio” dell’arrampicata al tempo consisteva in due torri da 24 metri costruite con i ponteggi da edilizia, ma già si scalava sugli strapiombi.
ANCHE DAL PUNTO di vista organizzativo le cose si erano evolute a una velocità sorprendente: nel 1987 era stata fondata la Federazione arrampicata sportiva italiana, nel 1989 si disputò la prima coppa del mondo. Nel mentre non era già più il tempo dei “pionieri”: il mondo dell’arrampicata si era diviso tra chi rimaneva fedele esclusivamente al fascino della scalata in natura, nelle sfumature di colori e silenzi delle falesie, e climber più portati a un training sistematico, votato principalmente al potenziamento muscolare in ottica competitiva. Ancora oggi il pan Güllich, che consente di fare trazioni “a secco”, porta il nome del suo ideatore, un cultore dell’allenamento in palestra.
FINO AL TERMINE degli anni Novanta l’unica disciplina inclusa nelle competizioni internazionali fu proprio la lead, che consiste nel salire una parete di elevatissima difficoltà, cercando di arrivare al top. I percorsi cambiano nel corso dell’evento e i concorrenti li scalano “a vista”, cioè senza averli potuti studiare o provare in precedenza.
NEL 1998 E 1999 si aggiunsero le classifiche riservate alla velocità e al boulder. La speed – nella sua formulazione attuale – vede in gara due atleti contemporaneamente, in parallelo su due percorsi uguali di 15 metri. I tempi sono sorprendenti: poco più di 5 secondi per percorrere l’intero muro, alto grosso modo come un palazzo di 4-5 piani. Il boulder invece, arrivato per ultimo a comporre la triade di discipline incluse oggi nel programma olimpico, in realtà affonda le proprie radici addirittura negli anni Settanta, quando il sassismo – cioè arrampicare su grossi blocchi di roccia senza corda – era diventato di moda tra i giovani del tempo.
Da luoghi ormai famosissimi appunto come Boulder in Colorado, o la val di Mello in Italia e Fointanbleu in Francia, il bouldering si è velocemente trasferito in palestra, sia per la facilità di creare strutture meno alte rispetto alle pareti lead, sia per la sua immediatezza nella pratica: non sono previsti assicuratori a trattenere eventuali cadute, che avvengono su grandi materassi. Il boulder è inoltre la disciplina che più estremizza il gesto tecnico: potenza, dinamismo e leggerezza sono indispensabili per scalare su quelli che non per niente vengono definiti «problemi» in gergo tecnico. Nelle palestre di tutto il mondo ormai si arrampica su grandi volumi, piuttosto che su piccole prese, con veri e propri lanci per raggiungere gli appigli e gli atleti sono autentici ginnasti.
A TOKYO LE TRE DISCIPLINE daranno vita a una classifica combinata, perché solo una sarà la medaglia assegnata. Semplificando, il punteggio sarà dato da una moltiplicazione delle posizioni raggiunte nelle singole gare, ragion per cui un risultato molto negativo – anche in una sola disciplina- avrà un effetto determinante sullo score finale. Tendenzialmente la speed è la specialità più sacrificata, mentre boulder e lead si possono allenare piuttosto bene in contemporanea. In questo caso tuttavia anche i più forti atleti internazionali – Adam Ondra, Janja Garnbret, Jacob Schubert, Laura Rogora – sono dovuti scendere un minimo al compromesso durante la fase di preparazione e comunque, vista la formula, a Tokyo potrebbe vincere un outsider.
L’ARRAMPICATA SPORTIVA oggi, per ottenere i favori delle televisioni e del comitato olimpico, privilegia sempre di più prove brevi, dal gesto eclatante, per garantire la fruizione dello spettacolo anche a un pubblico non specializzato. D’altronde lo sport climbing, nonostante negli ultimi anni la platea dei praticanti – soprattutto nelle palestre indoor – sia cresciuta a dismisura, rimane ancora un’attività relativamente di nicchia, che le federazioni vogliono portare a una più larga diffusione.
Anche a livello nazionale la geografia di questo sport sta cambiando e il baricentro non è più necessariamente in Europa o negli Stati Uniti: l’Asia è cresciuta moltissimo e il Giappone, per esempio, sta preparando l’evento olimpico ormai da anni, con una scuola molto competitiva. Tornando al vecchio continente, Francia e Austria rimangono nazioni ai vertici del movimento, così come la Slovenia, che negli ultimi anni ha espresso alcuni dei talenti migliori del panorama. L’Italia, che per anni ha vissuto soprattutto sulla spontanea tradizione del nostro movimento, ha finalmente imboccato la strada di un sistematico approccio all’arrampicata come sport: quest’anno ad Arco è stato realizzato il centro federale di allenamento presso la struttura del Rock Master, un luogo dove svolgere training e raduni sotto la supervisione di istruttori e tracciatori di provata esperienza. Il tutto è avvenuto sulla scorta di quanto è regola per esempio a Innsbruck, dove da anni è stato attrezzato uno dei parchi indoor/outdoor più avanzati al mondo.
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