Claudio Sabattini, esercizi di democrazia
TEMPI PRESENTI «Il sindacalista», un volume di Gabriele Polo edito da Castelvecchi. Intellettuale bolognese, di famiglia proletaria, è stato protagonista della Fiom fin dagli anni Settanta. Il volume riesce a descrivere la grandezza di un personaggio spesso troppo avanti rispetto alla storia per essere compreso appieno dai contemporanei. Percepisce prima di tutti il vento del ’68 fondando la Suc, sezione universitaria comunista dedicata a Giaime Pintor. Troppo ingraiano, rompe con il Pci e sceglie il sindacato
A quasi vent’anni dalla scomparsa, un’aurea di rispetto, ammirazione, quasi di misticismo continua ad avvolgere la figura di Claudio Sabattini. Non solo dentro la Fiom, il sindacato dei metalmeccanici che ha plasmato facendolo diventare quasi una «quarta confederazione», ancora oggi forte della sua autonomia, indipendenza e visione generale.
A spiegare il perché del rapporto di amore fra un intellettuale bolognese proveniente da una famiglia partigiana e proletaria e i milioni di metallurgici che dagli anni settanta con lui hanno preso coscienza della propria forza e indipendenza oggi arriva il libro di Gabriele Polo, ex direttore del manifesto, chiamato semplicemente Il sindacalista (Castelvecchi, pp. 432, euro 25). L’epitaffio scelto dallo stesso Sabattini condensa con un solo sostantivo una figura complessa, tormentata, poliedrica ma allo stesso tempo dannatamente coerente.
Proprio la coerenza è la caratteristica che emana dalle quattrocento e oltre pagine di un testo che racconta la sua vicenda politica, sindacale e umana senza sconti e omissioni. Quella coerenza che Sabattini pagherà finendo per essere il capro espiatorio della sconfitta del sindacato alla Fiat nel 1980 e negli ultimi passaggi della sua lunga carriera in Cgil, conclusasi in quella Sicilia così lontana dalla sua Bologna.
Tutt’altro che un’agiografia, il libro riesce con profondità a descrivere la grandezza di un personaggio spesso troppo avanti rispetto alla storia per essere compreso appieno dai contemporanei.
IL PERCORSO DI VITA di Sabattini è da subito pieno di difficoltà – le discussioni in famiglia per farlo studiare – e incidenti – nel 1965 si salva da un’esplosione e da un incidente stradale rimanendo sfregiato e perdendo il dito indice della mano destra.
L’impegno politico nella Fgci è da subito connotato da quello che Polo definisce giustamente «il chiodo fisso per la democrazia come motore della trasformazione della società» dimostrato dall’atteggiamento critico nei confronti dell’invasione sovietica in Ungheria. Sabattini acquisisce subito i tratti dell’eretico – «mai scismatico» – ma la sua capacità di costruzione e visione è tale da consentirgli una carriera sia nel Pci di Bologna – sarà consigliere comunale e proposto vicesegretario cittadino – che a livello nazionale nel lungo rapporto con Achille Occhetto – che interviene, come Riccardo Terzi, nell’appendice del libro.
Percepisce prima di tutti il vento del ’68 fondando la mitica Suc, la sezione universitaria comunista dedicata a Giaime Pintor: una vera fucina di talenti – il «sacro collegio» composto da La Forgia, Garibaldo, i fratelli Rinaldini e Cremaschi – e lo strumento con cui il Pci riesce a dialogare col movimento studentesco a Bologna fino al ’77.
Ma il suo essere troppo ingraiano lo porta alla rottura col partito e alla scelta di passare al sindacato, considerato più libero e fondamentale, ammirando l’operaismo dei «Quaderni rossi» di Raniero Panzieri, visto come strumento per arrivare ad un nuovo socialismo in contrapposizione con l’incipiente consumismo. La tesi su Rosa Luxemburg con cui si laurea ne è il manifesto.
NELLA CAMERA DEL LAVORO di Bologna Sabattini porta una ventata di cambiamento: le inchieste operaie, l’occupazione delle fabbriche con le donne della Pancaldi e alla Sasib definiscono un’innovazione decisiva per la Cgil. Non a caso conosce la moglie Emanuela durante i picchetti alla Ducati.
La battaglia per dare potere alle assemblee e ai delegati nel secondo biennio rosso del 1968-69 lo portano presto al passaggio in Fiom e nel 1974 allo sbarco prima nella Brescia delle acciaierie – chiamato da Pio Galli, proprio nell’anno della strage a piazza della Loggia – e poi nella capitale dell’auto, a Torino.
I successi contrattuali alla Fiat, quello alla Same di Treviglio e il contratto nazionale del 1976 con la riduzione di orario e aumenti salariali sono il frutto di una «capacità di ascolto, spirito di servizio, pragmatismo e rispetto della democrazia».
Nel 1979 la Fiat prepara la vendetta con la ristrutturazione di Romiti. Prima i licenziamenti dei 61 «fiancheggiatori delle Br» (quasi tutti reintegrati), poi i 14 mila licenziamenti. La controproposta di una cassa integrazione a rotazione non viene appoggiata dal Pci torinese di Piero Fassino e la marcia dei 40mila fa il resto.
La sconfitta sindacale coincide con la morte del padre. La botta è enorme. E Sabattini cade in una lunga depressione da cui esce grazie a una nuova inchiesta operaia che gli fa scoprire gli effetti della rivoluzione tecnologica che disgrega il lavoro e la solidarietà fra i lavoratori in una nuova alienazione.
La risposta di Sabattini è agire a monte con la codeterminazione dei processi produttivi: ricetta che lo porterà a firmare il Protocollo Iri dei comitati consultivi manager-sindacati (mai applicati) con Romano Prodi nel 1984 nel suo ritorno a Roma.
Il ritorno a Torino come segretario aggiunto regionale è l’inizio della «fase due»: quella della democrazia dei produttori, del conflitto e della radicalità contro il liberismo. Bruno Trentin lo aiuta e qualche anno dopo lo propone segretario generale della Fiom dove esordisce a Termoli con la promessa: «Mai più accordi senza il voto dei lavoratori».
L’altra novità è la cultura della solidarietà, l’apertura all’associazionismo (all’Arci di Tom Benetollo) che lo porta a teorizzare nella mitica Assemblea di organizzazione a Maratea nel 1995 «il sindacato indipendente» con «una visione del mondo per un protagonismo operaio» «nell’irriducibilità del lavoro al capitale» anticipando termini che ancora oggi pesano sul sindacato: «lotta alla flessibilità e alla precarietà».
UN SINDACATO in quegli anni «espropriato dalle imprese della capacità di contrattazione della condizione di lavoro» deve dunque diventare «rappresentanza sociale diretta» e «cultura dell’autogoverno dei lavoratori».
La convivenza con Sergio Cofferati non è semplice ma dura, anche grazie ai successi nei contratti dei metalmeccanici del 1996 e del 1999. La Fiom di Sabattini ha al centro «la palestra di democrazia» che è il suo Comitato centrale, l’importanza data alle giovani generazioni, il sostituire le «utopie tramontate con un ruolo rivendicativo generale» che «unifica» tramite la conquista dei diritti per «un punto di vista autonomo dal capitalismo».
Il sindacato è però già in crisi e le risposte moderate della Cisl di Pezzotta al patto Berlusconi-Confindustria del 2001 portano inevitabilmente alla rottura con la Fim e la Uilm e ai contratti separati.
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Fiom: 115 anni in lotta per i dirittiLa lotta solitaria della Fiom dà protagonismo al sindacato plasmato da Sabattini che si intreccia con la battaglia del movimento contro la globalizzazione al G8 di Genova dove la Fiom è l’unica a scendere in piazza il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani.
La manifestazione a piazza San Giovanni il 16 novembre 2001 per chiedere di far votare ai lavoratori il contratto separato è il testamento di Sabattini. Un comizio intervallato da un malore davanti a una piazza sterminata: «La democrazia è il bene più importante che hanno i lavoratori, l’unico modo per contare, per essere protagonisti. La battaglia sarà lunga ma la vinceremo perché noi, a differenza dei manager che lo fanno per soldi, crediamo in quello che facciamo».
L’amarezza per il no della Cgil Sicilia – sorpassato con il colpo di genio di diventare segretario della Fiom Sicilia – è l’ultimo passo contrassegnato ancora dalla voglia di conoscere la storia di Portella della Ginestra per avere più strumenti per aiutare l’infinita battaglia dei lavoratori contro i padroni.
E da insegnamenti fondamentali per chiunque voglia rappresentare i lavoratori: «Se non ci si identifica seriamente con la condizione dei lavoratori, se non li si ama, non si può fare il sindacalista», «è un mestiere difficile, bisogna credere davvero e per sempre che sia possibile la giustizia sociale, mettere se stessi in secondo piano rispetto alle ragioni del proprio agire», «assumersi le conseguenze delle proprie scelte».
Il 13 aprile a Roma la presentazione del volume
Il 13 aprile a Roma (ore 17, Sala del Parlamentino Cnel – viale David Lubin 2) la presentazione del libro di Gabriele Polo «Il Sindacalista. Claudio Sabattini, una vita in movimento».
Intervengono Maurizio Landini (segretario generale Cgil), Marco Magnani (economista), Gabriele Polo (autore del libro), Francesca Re David (segretaria nazionale Cgil), Gianni Rinaldini (presidente fondazione Claudio Sabattini), Aldo Tortorella (direttore «Critica marxista»).
Prenotazioni all’indirizzo info@fondazionesabattini.it. L’evento sarà anche in streaming sui siti e sulle pagine fb di Fiom, Cgil e Collettiva.
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