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«Civili colpiti senza preavviso, principio di distinzione violato»

«Civili colpiti senza preavviso, principio di distinzione violato»La ricerca dei sopravvissuti sotto le macerie del campo di Khan Younis – Mohammed Dahman/Ap

Intervista Parla Riccardo Noury di Amnesty International. «All’ombra del conflitto, in West Bank sono morti centinaia di palestinesi, uccisi da soldati e coloni che portano avanti impuniti un regime di annichilimento»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 7 novembre 2023

Riccardo Noury (portavoce di Amnesty Italia, ndr), secondo gli ultimi dati del ministero della Salute di Gaza, dallo scoppio della guerra sono più di 10.000 le vittime palestinesi. Un numero in costante crescita, che fa chiedere se l’esercito israeliano preavvisi veramente la popolazione civile della Striscia: come Amnesty International, cosa avete riscontrato?

Uno degli argomenti più utilizzati dal governo di Netanyahu è legato al tema del preavviso: secondo Tel Aviv, prima di bombardare quelli che considera obiettivi militari, l’esercito comunica alla popolazione civile l’imminente bombardamento, in modo che possano evacuare l’area che sta per essere colpita. Nella realtà delle cose, però, questo sistema è perlopiù fallace o inesistente. Tra il 7 e il 12 ottobre, Amnesty ha analizzato 5 casi di mancato o inadeguato preavviso: il più grave per numero di vittime è l’attacco del 9 ottobre in un mercato nel campo rifugiati di Jabaliya, l’area più densamente popolata della Striscia. Quel giorno era ancora più affollata del solito: poche ore prima, molte persone vi avevano trovato riparo dopo aver ricevuto preavviso di lasciare le loro abitazioni, senza un’indicazione precisa su dove scappare. Il risultato è stato tragico: la folla che si era ammassata all’interno del mercato è morta in un raid dell’aviazione israeliana. Il bombardamento ha causato la morte di oltre 60 persone.

Ci sono casi poi in cui l’avviso non c’è stato proprio: il 7 ottobre l’aviazione israeliana ha abbattuto un palazzo di tre piani nel quartiere di al-Zeitoun a Gaza City. Nell’edificio risiedeva un’intera famiglia, che è stata cancellata completamente. Tra le 15 vittime dell’attacco c’erano sette bambini, di cui uno di un anno e mezzo. Caso simile, purtroppo, si è verificato il 10 ottobre: un’abitazione familiare su al-Sahaba Street, sempre a Gaza City, è stata colpita da un missile diretto a ‘obiettivi militari’. Dopo accurate indagini, Amnesty ha però riscontrato che l’edificio era una normalissima casa, affollata da un gruppo di civili in cerca di riparo. Anche in questo caso, l’attacco ha causato 16 vittime innocenti.

Nello stesso giorno, un raid ha colpito un edificio di sei piani a Gaza City, nel quartiere di Sheikh Radwan, distruggendolo completamente e uccidendo almeno 40 civili, tra i quali almeno cinque bambini e bambine. Nell’edificio risiedeva un membro di Hamas, ma dalle nostre ricerche è poi emerso che non era in casa al momento dell’attacco. L’ultimo caso preso in analisi delll’8 ottobre, è basato su una testimonianza dal campo profughi di Nuiserat. L’uomo intervistato ha raccontato la tragica esperienza vissuta insieme a un suo vicino di casa, che quella mattina aveva ricevuto una telefonata di avviso di bombardamento da un militare israeliano. Alle 10.30, i due sono scappati dalla propria casa, senza avere tempo di portare nulla con sé. Alle 15.30, non essendoci stato alcun attacco, le persone sono tornate nelle loro abitazioni per prendere le cose necessarie. Non appena rientrati negli appartamenti, è arrivata la bomba. L’esercito israeliano, dunque, non si è curato minimamente della presenza di civili nell’edificio, quando invece sarebbe stato necessario un altro preavviso.

Quali sono, nello specifico, le violazioni compiute da Israele dall’inizio del conflitto?
A mio avviso, non stiamo guardando con sufficiente attenzione all’‘uso eccessivo della forza’, termine del diritto internazionale che possiamo tradurre con le uccisioni e le torture che avvengono giornalmente in tutta la Palestina. All’ombra del conflitto a Gaza, nelle scorse settimane in West Bank sono morti centinaia di palestinesi, uccisi da soldati e coloni israeliani che portano avanti impuniti un regime di annichilimento, segregazione e oppressione.

Tutti elementi alla base di un sistema di apartheid che la maggior parte delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, comprese quelle israeliane, imputano allo Stato ebraico. Per dare un esempio pratico su Gaza, invece, ritorno sul caso del campo rifugiati di Jabaliya, colpito già sei volte dall’inizio della guerra. Tra il 31 ottobre e l’1 novembre, i ripetuti bombardamenti hanno causato centinaia di morti (fonti locali parlano di più di 400 persone).

Nel diritto internazionale, questo tipo di attacco viene definito ‘sproporzionato’. Ammesso che ci fosse un obiettivo militare, come ad esempio la presenza di alcuni leader di Hamas, è evidente che Israele avesse piena consapevolezza che per neutralizzarlo avrebbe fatto un numero enorme di vittime, inevitabile data la densità di popolazione del campo rifugiati. Questo tipo di attacco, per cui il vantaggio militare si trae a spese di un danno enorme ai civili, viola il principio di distinzione, cardine del diritto internazionale. In base all’art. 8.2 dello Statuto della Corte penale internazionale, la violazione del principio di distinzione costituisce un crimine di guerra, purtroppo l’ennesimo da parte di Israele.

Pochi giorni dopo l’inizio dell’offensiva contro Gaza, Amnesty International ha verificato l’uso di munizioni al fosforo bianco da parte delle forze militari israeliane su obiettivi civili. In particolare, nei villaggi del sud del Libano, l’esercito ha lanciato colpi di artiglieria causando danni respiratori e ustioni gravi alla popolazione locale: il fosforo bianco, infatti, è un’arma chimica incendiaria che a contatto con l’ossigeno produce roghi a temperature altissime. A contatto con la pelle umana, le ustioni causate dal composto posso essere fatali anche in minima dose. Per questo, l’uso del fosforo bianco non a scopo militare, ma contro obiettivi civili, è un gravissimo crimine di guerra.

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