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Madri detenute, è scontro tra Pd e destraGiovedì lo scontro frontale tra Pd e destra sulla proposta di legge per migliorare la condizione delle madri detenute, norma stravolta dall’esecutivo: la riformulazione degli emendamenti della relatrice Varchi (FdI) è arrivata dal governo, che ha seguito la partita con il sottosegretario alla Giustizia, il leghista Ostellari. I dem hanno ritirato le firme e fatto decadere la pdl ma la Lega ne ha presentata un’altra «antiborseggiatrici rom», scavalcando gli alleati.

Ieri da Fdi Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, ha rincarato la dose: «Le donne che vanno in carcere per reati gravi con sentenza passata in giudicato devono perdere automaticamente la patria potestà sui figli. Ho sempre pensato fosse ingiusto tenere i bambini in carcere ma considero ancora più ingiusto lasciare la patria potestà a madri degeneri». Cirielli, bontà sua, lascia un piccolo varco: «Prevista la custodia attenuata con case famiglia di fronte o all’interno del carcere per consentire alla mamma di uscire da un momento di ristrettezza. Questo nell’ipotesi di custodia cautelare»

Dal Pd la replica di Alessandro Zan: «Quindi una donna che sbaglia, oltre la pena, deve perdere i figli, rendendo di fatto un bambino orfano. Siamo alla follia». E Deborah Serracchiani: «Il ministro Nordio garantista appare un ricordo sbiadito». La senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra, Ilaria Cucchi: «Togliere un bambino all’affetto della propria madre è disumano. Servono strutture adeguate». Matteo Renzi: «Togliere la patria potestà alle madri condannate significa capire poco di diritto e soprattutto non capire nulla di umanità. I membri del governo Meloni devono smetterla con queste uscite da bar». E Calenda: «Accadono cose assurde. Ogni giorno dichiarazioni folli, estremiste e soprattutto infondate. Basta».

L’associazione Antigone e la Cgil nella nota congiunta: «Una proposta che non garantisce alle donne la possibilità di essere madri erode il principio dell’interesse supremo del bambino, come previsto dalla Convenzione Onu del 1989. In un paese come l’Italia, dove il tasso di recidiva raggiunge circa il 70%, soprattutto nel caso delle donne sappiamo come questa non caratterizzi affatto crimini di peso o di allarme sociale bensì uno stile di vita legato alla piccola o piccolissima criminalità da strada legata all’esclusione sociale, alla povertà, alla tossicodipendenza. Non pensiamo che la sicurezza di milioni di persone dipenda dal tenere in carcere 24 bambini e le loro 21 madri. Pensiamo invece che dal rimanere in carcere o meno dipenda la sicurezza e la crescita di quei 24 bambini».