A differenza di altre isole dell’Europa meridionale, Creta e Gavdos all’estremo sud della Grecia hanno visto migranti e richiedenti asilo sbarcare sulle loro coste solo occasionalmente fino alla fine del 2023, quando una nuova rotta che parte da Tobruk, in Libia, ha cominciato a rendere gli arrivi sempre più frequenti. Nel 2024 le due isole hanno registrato più di 1.300 arrivi insieme, eguagliando i numeri di Chios e Kos nel Mar Egeo. Secondo i dati e la gente del posto, i richiedenti asilo arrivano soprattutto da Egitto, Pakistan e Afghanistan, ma ci sono stati anche siriani e palestinesi.

GAVDOS RAGGIUNGE a malapena i 100 abitanti durante l’inverno e, al di fuori della stagione turistica, anche gli abitanti locali accedono con fatica ai servizi di base. Per questo, una volta ricevuta una prima assistenza a Gavdos, i richiedenti asilo vengono trasferiti a Creta, per poi scoprire che neppure lì ci sono infrastrutture adeguate alla loro accoglienza.

A Heraklion, capitale di Creta, fino alla fine del 2023 i richiedenti asilo tendenzialmente “alloggiavano” nell’edificio della guardia costiera, gestito dall’autorità portuale, completamente svuotato per essere poi riempito di materassi sul pavimento. «Hanno portato un paio di bagni chimici in più, ma niente docce», ha detto Eleftheria Iatraki, fondatrice di un centro culturale locale che offre lezioni e attività per rifugiati e migranti. «Ogni volta che siamo venuti in zona per portare loro beni di prima necessità, erano chiare le cattive condizioni in cui vivevano», ha aggiunto.

IATRAKI HA SPIEGATO che nel 2024 l’edificio ha “cambiato gestione” dopo che la Grimaldi Lines ha acquisito la maggioranza delle quote del porto di Heraklion. Probabilmente per questo motivo, e visto il costante aumento di sbarchi, le autorità hanno deciso di utilizzare un altro spazio, il deposito dell’ex stazione dei pullman. «Altro posto, stessi materassi. Non sono stati nemmeno lavati».

A La Canea, la seconda città di Creta, le cose sembravano andare meglio dal momento che il comune aveva scelto il campo estivo di Kalathas, a circa dieci chilometri dalla città, per ospitare i richiedenti asilo. Uno spazio che, però, non sarà più disponibile nel giro di qualche settimana perché dovrà tornare a essere usato per la sua funzione originaria. «Sentiamo l’obbligo morale di aiutare ogni essere umano – ha detto Eleni Zervoudaki, vicesindaco di La Canea – ma consideriamo la nostra città solo un luogo di transito. Non ci saranno centri di accoglienza, per quanto ne so».

NEI PRIMI GIORNI di marzo, le persone hanno dormito su coperte e sacchi a pelo nel parcheggio della dogana di Souda, la principale città portuale che collega Creta alla Grecia continentale. «Le condizioni erano inaccettabili», ha detto Christina Giannari, traduttrice volontaria a contatto con i migranti. «Due bagni per centinaia di persone e coperte sottilissime per dormire sul cemento».

«Questa procedura non prevede l’intervento di operatori sociali o assistenza di alcun tipo – ha spiegato Giannari – La fornitura di cibo è minima e si basa solo su fornitori privati locali, mentre a portare i vestiti sono i volontari locali». La traduttrice ha poi aggiunto che molte persone che transitano in questo modo sulle isole fanno fatica a comunicare quello che stanno vivendo perché non riescono ad accedere facilmente a un telefono o ad altri mezzi di comunicazione.

IL VICESINDACO DI CHANIA, Eleni Zervoudaki, ha assicurato che parteciperà a ulteriori incontri con il ministero dell’Immigrazione e con la Regione di Creta per trovare nuove soluzioni e sistemazioni più adeguate, ma che tutto verrà deciso «col tempo».

Oltre a privare i migranti e richiedenti asilo del loro diritto a vivere in condizioni dignitose, la mancanza di centri di accoglienza e identificazione su queste isole impedisce loro di ricevere una corretta valutazione legale della propria situazione, il che ha conseguenze significative sulla loro permanenza: le persone vengono trasferite in quelli che possono definirsi i «centri di detenzione per il rimpatrio» della Grecia continentale, come Korinthos o Amygdaleza. Questi luoghi sono noti per le pessime condizioni in cui i detenuti sono trattati, e risultando come detenuti nella loro richiesta d’asilo, spesso i migranti finiscono per rimanervi dai sei mesi in su, immaginando già che la richiesta verrà rifiutata.

KATERINA DRAKOPOULOU, avvocata del Consiglio greco per (Gcr) i rifugiati a Creta, ha confermato che soprattutto a partire da dicembre 2023 questa corsia preferenziale verso i centri di detenzione è diventata la norma, seppure non dovrebbe esserlo: «La valutazione delle vulnerabilità individuali – dice al manifesto – dovrebbe essere sempre garantita. Solo perché qualcuno viene dall’Egitto dove non c’è una guerra in corso non significa che non abbia diritto a protezione internazionale. Quello che noi del Gcr abbiamo notato è che dove non ci sono strutture di accoglienza, la situazione è sempre molto caotica. Non siamo a favore di grandi centri o infrastrutture. Questo è e rimarrà un luogo di solo transito, ma ciò non significa che non si debba far fronte ai bisogni immediati delle persone, soprattutto dei soggetti più vulnerabili».

Secondo Drakopoulou, le autorità locali non dovrebbero essere lasciate sole a gestire situazioni come queste. Potrebbero però fare la loro parte designando ambienti più accoglienti e familiari da usare come alloggi, invece di prediligere sempre luoghi abbandonati e nascosti. «L’opinione pubblica – ha aggiunto l’avvocata – sarà comunque contraria, ma avere persone che brancolano nelle periferie senza una casa non rende la situazione migliore». Sebbene Drakopoulou non ritenga che quella per Gavdos e Creta si possa già definire una «rotta consolidata», la legale sostiene che laddove ci sono arrivi costanti, «affrontarli nel modo adeguato è una questione di volontà politica».