Cineteca di Bologna, museo vivente dei sogni
Intervista Conversazione con Gianluca Farinelli che, insieme alla sua squadra, dirige la Cineteca dal 2000, e qui ne racconta il lavoro e le origini: un centro di ricerca vivo, laboratorio permanente al servizio del cinema, partito da ufficio comunale e oggi istituto culturale di fama mondiale
Intervista Conversazione con Gianluca Farinelli che, insieme alla sua squadra, dirige la Cineteca dal 2000, e qui ne racconta il lavoro e le origini: un centro di ricerca vivo, laboratorio permanente al servizio del cinema, partito da ufficio comunale e oggi istituto culturale di fama mondiale
Da quando è nata, nel 1962, la Cineteca di Bologna ha fatto miracoli e oggi – nella palude italiana dove quasi ogni impresa realizzata con soldi pubblici ci impiega anni, quando non decenni, per instradarsi e vedere la luce (quando la vede) – è una delle maggiori istituzioni cinematografiche al mondo, certamente tra le più dinamiche, che da 38 anni organizza «Il Cinema Ritrovato», festival di cinema restaurato, «ritrovato» appunto, proiettato sui grandi schermi in giro per la città. Abbiamo incontrato chi ha consacrato a questa eccezionale realtà culturale tutta la sua vita, Gianluca Farinelli, che, coadiuvato da una squadra fenomenale, dirige la Cineteca dal 2000, rendendola un centro di ricerca vivo, un laboratorio permanente di incontro sulla storia del cinema, sulla storia di quel banco dei pegni che ci ripaga in sogni (fatti di luce).
Quello che trovo straordinario è come, nel suo percorso anche di crescita, tu e il gruppo di persone che lavora con te, siate riusciti a comunicare una proposta sofisticata e a trovare degli ascoltatori attenti. Il miracolo che io vedo è una risposta popolare, lo dico senza retorica, eccezionale. C’è gente (parliamo di migliaia di persone) che riempie la piazza per vedersi Stroheim, Ford o Dreyer, cosa che potrebbe venir categorizzata tra i piaceri intellettuali per una specie di piccola casta, mentre la vostra esperienza dimostra che può essere anche altro.
È sempre difficile spiegare le ragioni, perché le cose avvengono. Il successo come l’insuccesso sono sempre difficili da teorizzare, da razionalizzare. Quello che posso dire è che la nostra è una storia assolutamente unica. Il fatto che la Cineteca sia stata un’intuizione di un assessore alla cultura geniale che si chiamava Renato Zangheri, che ha trovato un gruppo di intellettuali incredibili (Vittorio Boarini, Renzo Renzi e molti altri), che da quando la Cineteca esiste ha avuto una notevole continuità, perché Vittorio Boarini è andato in pensione nel 2000. Io da 10 anni ero il suo vice, ho preso il suo posto e quindi sostanzialmente dal ’62 al 2024 c’è una continuità, che se pensi a cosa succede in Italia ogni due anni…
In fondo la nostra è una storia fatta di piccoli passi, perché siamo arrivati qui in 38 anni. In 38 anni facendo delle scelte che andavano sempre in una direzione di costante crescita e di costante approfondimento e sperimentazione.
Poi, siccome si dice sempre molto male della politica, devo dire che la politica locale ha avuto una grande continuità e ha sempre creduto nel progetto. Tieni conto che Zangheri nel ’62 era assessore «alla cultura e alle istituzioni cultuali» – che detto oggi fa tremare! Nel senso che nel ’62 Zangheri teorizzava che la cultura aveva bisogno di istituzioni che fossero autonome.
L’altro tema è che Bologna è comunque una città molto particolare. Bologna è una città che vive di cultura, in tutte le sue attività. Le attività industriali per esempio sono sempre delle attività di ricerca. È una comunità relativamente piccola che comunque ha una dimensione culturale molto rilevante, dove la cultura ha un peso molto rilevante, non è una cosa che rimane esterna.
Lo stesso fatto che due industriali importanti della città, come Golinelli, che è Alfasigma, una grande marca farmaceutica, e Isabella Seragnoli, che è a capo di uno dei colossi mondiali della meccanizzazione, abbiano creato due strutture che fanno cultura e che offrono gratuitamente cultura alla città, anche questa cosa è un segnale di un territorio dove la dimensione culturale è molto sentita, è molto importante.
Come è nato «Il Cinema ritrovato»?
Nella prima edizione del Cinema Ritrovato, nel 1986, invitammo due cineteche municipali, una di Monaco di Baviera, che era diretta da Enno Patalas, e la cineteca del Lussemburgo, che era diretta da Fred Junck, ed erano due cineteche che in fondo rispecchiavano due anime che in quel momento erano le due anime principali delle cineteche.
Una di queste era Patalas, che era un pioniere del restauro cinematografico, restauro che, tra l’altro, era legato a un tema di identità della Germania. Enno che era un figlio della guerra, un grande critico, aveva scoperto che i classici del cinema tedesco erano tutti in copie disastratissime, che era impossibile fare una rassegna del grande cinema espressionista (se non attraverso delle copie infami), e che i materiali erano a Mosca, che l’Armata Rossa, ritirandosi da Berlino aveva portato via l’archivio statale del cinema tedesco.
E quindi ha iniziato questo lavoro di ricostruzione dei classici che era anche un rammendo della memoria di un paese, e inventando la filologia, inventando la ricostruzione… Incontrammo il nostro maestro, di fatto, che era direttore di una cineteca municipale, e che dimostrava che anche un piccolo archivio poteva fare qualcosa di grandioso.
Chi sono stati i primi a restaurare film?
Il restauro è inventato da due storici, registi, artisti, geniali, che erano Enno Patalas e Kevin Brownlow. Entrambi indipendenti: Kevin aveva fatto la sua società, ed Enno lavorava all’interno di una piccolissina cineteca municipale. Sono loro due a inventare il restauro. Come quasi sempre sono gli indipendenti ad aprire le strade per le istituzioni.
Il festival dunque vi ha aperto il mondo degli archivi…
Scoprire il mondo degli archivi ci fece pensare che dovevamo continuare in quella direzione e quindi ripetemmo una seconda edizione del Cinema Ritrovato, allargando, e immediatamente avemmo una grande risposta da parte delle cineteche europee che quasi da subito già alla seconda, alla terza edizione, hanno cominciato a venire a Bologna.
Entriamo a far parte della Fiaf (la Federazione Internazionale degli Archivi di Films), cosa che ci ha aperto la strada degli archivi; e devo dire che la Fiaf, come tutti gli organismi internazionali ha tanti limiti, ovviamente, ma per noi è stata fondamentale, perché ci ha dato gli strumenti, le pubblicazioni, i colleghi sono venuti a spiegarci le cose, noi abbiamo potuto andare a trovali, a capire.
È stato un periodo formativo straordinario.
Dove, contemporaneamente, c’è stato un passaggio istituzionale, perché nel ’96 lo Stato Italiano, col governo Prodi, crea le Istituzioni all’interno delle strutture pubbliche, quindi il Comune di Bologna fa della Cineteca un’Istituzione, quindi vuol dire che non è più un ufficio comunale, vuol dire che pur non avendo un’indipendenza economica e amministrativa, ha un’indipendenza di azione totale. E questo è un passaggio decisivo, nella storia della Cineteca. Partono dei grandi progetti, come quello della nuova sede, in piazzetta Pasolini, dove portare la biblioteca e dove ci sono due sale, gli uffici e il laboratorio – mentre intanto è in atto il progetto del laboratorio in via Riva Reno.
Ce ne parli? È una parte fondamentale della vostra attività.
Il progetto del laboratorio è forse la cosa più incredibile che la Cineteca abbia fatto, cioè Vittorio Boarini ha questa idea, passatagli da un funzionario della formazione del CNA di Bologna che gli dice che era partita la stagione dei finanziamenti europei del Fondo Sociale Europeo che finanziava la formazione, e visto che la Cineteca stava crescendo gli disse di presentare un progetto. Mentre la Germania, la Francia, tutti avevano dei laboratori di restauro, l’Italia no. E quindi Vittorio dice: facciamo una scuola per il restauro cinematografico!
Siamo partiti ed è stata una esperienza straordinaria: abbiamo potuto far venire tutti i grandi restauratori, tutti i grandi tecnici – abbiamo avuto la fortuna di trovare un tecnico che era il tecnico di Luciano Vittori, al tempo LV aveva appena chiuso il suo dipartimento cinema; questo tecnico era straordinario, veramente geniale, era rimasto senza lavoro e quindi per un paio d’anni si è trasferito a Bologna, dove c’era un piccolissimo laboratorio 16 milimetri con un tecnico che aveva lavorato nei laboratori romani. Abbiamo comperato le macchine dai laboratori chiusi, quindi per pochissimi soldi e abbiamo creato un piccolo laboratorio. Abbiamo fatto la formazione a una quindicina di ragazzi e noi stessi abbiamo appreso. Poi alla fine di questo percorso formativo che è durato più di due anni eravamo in grado di restaurare. Ovviamente i primi restauri sono disastrosi. Ma già nel ’94, quindi nel giro di due anni, accogliemmo le cineteche di tutto il mondo (l’assemblea annuale della Fiaf fu fatta a Bologna) e presentammo una decina di restauri della Cineteca, che fecero molto scalpore e aprirono anche una vita internazionale al laboratorio.
Tutto questo quando ancora eravate in Via Pietralata.
Il passaggio ulteriore avviene nel 2000, quando abbiamo la nuova sede, che è importantissima. Io divento direttore e a Bologna c’è la vittoria del centro-destra e vince Guazzaloca. Guazzaloca era un cinéphile, un uomo colto, e fu lui a dirmi: «ma perché fate solo due proiezioni in piazza? è assurdo! Se montate lo schermo, fate un mese, due mesi!»… Per accontentarlo l’anno successivo facemmo dieci proiezioni e capimmo che aveva completamente ragione, quindi poi ogni anno abbiamo aggiunto proiezioni e siamo arrivati a questo format, che comincia attorno al 18 di giugno, e finisce il 13 di agosto, cioè circa 55 serate.
E questa cosa ha dato quella dimensione popolare che la Cineteca non aveva mai avuto.
Cioè la Cineteca fin dagli anni ’60 è un oggetto importante nella città, in dialogo con la città. Però, come dire, era un oggetto che in fondo coinvolgeva sempre una parte della città. Le proiezioni in piazza hanno dato questa dimensione popolare all’azione della Cineteca assolutamente straordinaria (per cui a Bologna tutti sanno che esiste la Cineteca). Che poi la piazza, la piazza italiana, è stata immaginata così grande, non perché il turista passa e fa una foto, ma come luogo di incontro di una comunità. E quindi è stata pensata esattamente per le proiezioni!
La risposta dei bolognesi è stata immediata?
Immediata. Io all’inizio avevo qualche resistenza. Pensavo: «noi facciamo una cosa così bella, così giusta, così di successo, nel cortile di palazzo d’Accursio, che ci consente anche di fare cose più di sperimentazione, se andiamo in piazza saremo obbligati a fare solo i grandi film».
E invece no, cioè la cosa incredibile, sorprendente della piazza, è che la stessa proposta, anche di nicchia, che potevamo fare nel cortile di Palazzo d’Accursio, la potevamo portare in piazza e ci fu ugualmente una risposta! Io mi ricordo quando venne Bela Tarr a presentare Il cavallo di Torino. E nella presentazione disse: «sono sconvolto, perché non penso che il mio film sia stato visto in giro da cosi tante persone quante siete qui in piazza, comunque è un film molto particolare, ritorno alla fine e se volete ne parliamo, ovviamente so già che non sarete quelli che siete adesso». Siamo andati a mangiare, siam tornati alla fine, c’era un po’ meno gente, ma c’erano comunque duemila persone, e lui si è messo a fare un dibattito!
Voi avete espanso il sogno di Ungari di mostrare da una parte Hitchcock e dall’altra opere sperimentali sugli stessi schermi grandi davanti allo stesso pubblico.
Beh, sì. Però in mezzo c’è stato il digitale, che ovviamente rende possibili tutti i sogni dei cinefili. 20 anni fa non avremmo potuto gestire tutto questo; a parte che non ci sarebbero state le copie.
Benché ancora il Cinema Ritrovato abbia una parte in pellicola importante, e benché la cabina di piazza Maggiore abbia due proiettori, 35 e 70mm, questo livello superiore che il Cinema Ritrovato oggi ha, questa abbondanza, è figlia anche del digitale e di una straordinaria semplificazione sia nel restauro che nella presentazione. Mentre invece per quello che riguarda la conservazione oggi ha complicato molto le cose.
Quali erano i primi titoli, o il primo titolo che ricordi delle prime cose che avete restaurato?
Il primo film su cui lavorammo fu Maciste all’inferno di Brignone. Uno dei pochi grandi successi del cinema italiano degli anni ’20, che Fellini ricorda come il primo film che ha visto, e che è un film totalmente di Fellini (o forse è il contrario). Lo abbiamo poi restaurato tante volte.
Al programma del Cinema Ritrovato del 1994 presentammo un programma di film muti italiani che era un po’ la nostra ossessione. Le nostre ossessioni sono sempre figlie di quello che abbiamo sempre letto, quindi Brunetta, Bernardini e soprattutto Martinelli, che ci aprirono gli occhi. Il cinema italiano non nasceva col Neorealismo, né coi Telefoni Bianchi, ma col cinema muto, di cui l’Italia era stata grande protagonista internazionale.
Per almeno 10 anni la nostra priorità assoluta è stata la ricerca dei film italiani, ricerca che ha avuto grande successo perché quei film erano stati distribuiti in tutto il mondo, quindi trovammo nelle cineteche di tutto il mondo film italiani che riportammo in Italia e cominciammo a restaurare, e il laboratorio si specializzò proprio nel restato dei muti italiani, e nella ricerca di come restaurare questa cosa magica che erano i colori del cinema muto.
La rassegna del ’ 94 era penso la prima grande retrospettiva di cinema italiano muto, restaurato, che gli restituiva quella grandezza e quella importanza che fino a quel momento era difficile da cogliere perché o i film non erano disponibili o se lo erano lo erano in copie non montate, in bianco e nero, in cui si vedeva e non si vedeva.
La Cineteca si è messa poi a distribuire in sala i classici, cosa che in Italia, a differenza che in Francia, non si era mai fatta. Avete trovato una risposta positiva fuori dai confini emiliani?
Sì. Penso abbia avuto una funzione, nel senso che era, appunto, una provocazione. Devo dire che abbiamo scoperto una rete di sale straordinaria perché esistono ancora, nonostante tutto, molti esercenti intelligenti, curiosi, coraggiosi. C’è finalmente anche una generazione di donne esercenti che in Italia mancava molto; ed è anche in corso un piccolo rinnovamento delle figure dell’esercizio, anche se in gravissimo ritardo rispetto all’Europa.
Però ci sono delle linee di resistenza sorprendenti, anche in piccoli centri, che fanno un lavoro formidabile. Ci sono una ventina, una trentina di sale straordinarie e un centinaio di sale di qualità, che con regolarità, da molti anni, presentano i film, li valorizzano, hanno un rapporto col pubblico.
Da’ grande soddisfazione il fatto che oggi non siamo più soli: ci sono molti distributori, da Lucky Red, a I Wonder, alla stessa Warner, che fanno uscire con regolarità i film restaurati. Penso che la nostra azione un piccolo valore l’abbia avuto, soprattutto con questo tema della continuità: il fatto di proporre ogni mese un titolo, il fatto che comunque non ci fosse la ricerca esclusivamente di un film che poteva avere successo, ma anche di titoli che semplicemente fanno parte del canone della cinefilia e che è giusto che tornino in sala.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento