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Cinema ritrovato 2023, ultime risate dalla Germania

Cinema ritrovato 2023, ultime risate dalla GermaniaDa «Peter» di Hermann Kosterlitz

Festival «L’ultimissima Risata: Commedie tedesche dell’esilio, 1934-1936», alla kermesse bolognese, fino al 2 luglio

Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 giugno 2023

Non si finisce mai al Cinema Ritrovato di approfondire punti semi-oscuri ma non secondari della Storia del cinema. Ne è un buon esempio «L’ultimissima Risata: Commedie tedesche dell’esilio, 1934-1936», la sezione che illustra un capitolo ulteriore, piccolo ma significativo, di quello che è stato il gigantesco nodo epocale della «Grande emigrazione Vienna/Berlino/Hollywood» negli anni Trenta, seguita all’ascesa del nazismo. Sempre a cura di Lukas Foerster, la rassegna che inanella cinque commedie musicali di lingua tedesca realizzate in Austria, Ungheria e Cecoslovacchia, si pone, infatti, come appendice/continuazione di quella dell’anno scorso (e di cui abbiamo riferito su queste stesse pagine), intitolata appunto «L’ultima risata: “commedie musicali tedesche 1930-32». Proprio perché, dopo la presa del potere da parte di Hitler il 30 gennaio 1933, ci fu assai poco da ridere per i tedeschi, soprattutto per i tantissimi registi, attori e maestranze di origine ebrea o di idee democratiche costretti a fuggire dalla Germania o rinchiusi nei campi di concentramento.

Il che avveniva proprio a tre-quattro anni distanza da un altro momento fondamentale nel mondo del cinema e dell’intrattenimento come è stata la nascita della commedia musicale chiamata nella Repubblica di Weimar la Tonfilmoperette (e negli Stati Uniti musical), un genere caratteristico sorto al trapasso tra il cinema muto e quello sonoro.

Tramite le cine-operette, oltre all’irrompere dell’«americanismo» sotto forma di estrema spettacolarità e di una musica «straniera» come il jazz, si erano esplicitati, nella forma dell’intrattenimento leggero, quegli aspetti di libertà/liberalità sessuale, irriverenza e invenzione artistica tipica dei «Roaring Twenties» in Germania. L’avvento del nazismo produsse subito, nella morale e nella società tedesca, una svolta a 360° gradi rispetto a tale situazione, costringendo i suoi protagonisti, in massima parte di origine non ariana, a proseguire il proprio lavoro come esuli negli Studios di Vienna e Budapest o Praga (ma in misura minore), creando un cinema tedesco alternativo a quello nazista (e ovviamente proibito in Germania).

Le due personalità-chiave di questo breve momento che si chiude con l’Anschluss dell’Austria nel 1938, sono soprattutto il produttore di origine austro-ungarica Joe Pasternak (1901 – 1991), all’epoca a capo della sezione europea della Universal, e il regista berlinese Hermann Kostrelitz (1905- 1988) meglio noto con il suo pseudonimo hollywoodiano di Henry Koster, il celebre director, tanto per intenderci, de La tunica (1953), il primo film al mondo girato in Cinema Scope e di tanti altri lungometraggi di successo.

Il primo dei tre film in cui Koster e Pasternak collaborarono prima di stabilirsi entrambi nella Mecca di Hollywood – di sicuro uno dei migliori (o addirittura il migliore) della selezione bolognese – è Peter (1934), musical en travesti interpretato con charme dall’attrice e cabarettista di Budapest Franciska Gaal (1903-1972). Riprendendo spunti dallo straordinario film di Reinhold Schünzel Viktor und Viktoria dell’anno prima (poi entrato nella memoria di qualunque cinefilo nell’immortale remake girato nel 1982 da Black Edwards, Victor Victoria con Julie Andrews), è una intrigante commedia di scambi e ammiccamenti sessuali, di canzoni parodiche dove si ritrovano anche due dei principali comici dell’era weimariana cacciati dalla Germania: Felix Bressart (1892 – 1949) e Otto Wallburg (1889-1944). Il primo approdato negli States sarà il compagno Bulianoff in Ninotchka (1939) di Ernst Lubitsch e sempre per la regia del sommo regista berlinese-hollywoodiano lo rivedremo in altre pellicole di massimo successo come Scrivimi fermo posta (1940) o Vogliamo vivere! (1942); il secondo, invece, dopo varie peregrinazioni tra Austria, Francia e Paesi Bassi, arrestato al seguito di una denunzia in Olanda, morì trucidato ad Auschwitz nel 1944.

Anche Salto in die Seligkeit (1934) è un’altra ottima «Tonfilmoperette» da una idea del paroliere e sceneggiatore Max Colpet (o Max Kolpé), collaboratore di Rossellini per Germania Anno zero (1948) e grande amico di Billy Wilder e di Marlene Dietrich. Il film diretto e interpretato dall‘attore-regista ebreo Fritz Schulz (1896- 1972) che scampò alla morte a Buchewald riuscendo a riparare in Svizzera, si svolge in uno dei tipici luoghi della modernità dei tempi, i Grandi Magazzini, ed esibisce, in un tradizionale plot di musica e corteggiamenti dell’alta società, la scatenata soubrette Rosy Barsony e un Felix Bressart nella parte di un maldestro e comico investigatore della casa.

Adattato per lo schermo da Hermann Kosterlitz dall’omonima, celebre operetta (1932) di Paul Abraham, Ball im Savoy (1935) è una pellicola molto all’americana che potrebbe ricordare i coevi musical coreografati o diretti da Busley Berkley. Gran ritmo, ottima resa dell’affascinante diva-soprano ebreo-ungherese Gitta Alpár, già interprete del musical a teatro, ci ritroviamo ancora una volta in un minuetto d’amore e di equivoci, girato con mano sicura dall’ungherese István Székely alias Steve o Stefan Sekely (1899 – 1979) che ha diretto in modo camaleontico nella sua nutrita carriera film in ungherese, tedesco o inglese. Modesto elogio della sregolatezza nell’alcool e dei detour in amore, Csárdás (1935) di Jakob Fleck, Luise Fleck e Walter Kolm-Veltée è, invece, l’ultimo film in tedesco di Max Hansen, cabarettista danese, attore e tenore (all’epoca chiamato il «piccolo Caruso»), notissimo al grande pubblico della Germania anche per alcune ironiche canzonette popolari in cui sbeffeggiava Hitler. E concludiamo con il notevole Katherina die Letzte (1935) in cui ritroviamo insieme Hermann Kosterlitz, Franciska Gaal e il produttore Joe Pastrenak, un film scritto da un altro bravo emigrante Felix Joachimson (poi in America Felix Jackson) dove a dominare rispetto alla musica è il tono fiabesco tratteggiato nelle vicende di una moderna Cenerentola (la Gaal) e in cui si ritrova, come in alcune commedie sulla disoccupazione nella precedente era weimariana, un soffuso sottofondo di critica sociale. È proprio questa l’«ultimissima risata» di lingua tedesca, un cinema che alla metà degli anni Trenta ha rappresentato all’estero una forma di sotterranea opposizione.

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