Scarna ma come sempre degna di attenzione la presenza estremo orientale a Venezia quest’anno, molti ritorni e nomi che hanno già calcato le scene festivaliere internazionali quindi, ma con qualche nuovo volto.

In competizione verrà presentato Love Life di Koji Fukada, il suo Harmonium nel 2016 vinse il premio della giuria a Cannes, mentre con The Real Thing partecipò alla selezione ufficiale della Croisette nel 2020, l’edizione «fantasma» cancellata a causa della pandemia. Ambientato nel Giappone contemporaneo, Love Life, sceneggiato da un soggetto originale dello stesso Fukada ispirato ad un brano pop giapponese, è incentrato sulle vicende di Taeko, Jiro e del loro piccolo figlio Keita, quando la loro tranquilla quotidianità viene interrotta da un tragico evento. Questo riporta nella vita della donna il suo ex marito e padre di Keita, interpretato dall’attore sordomuto Atom Sunada, e in quella di Jiro, una sua vecchia fiamma.

Fukada si fa notare al pubblico del suo paese e a quello internazionale soprattutto attraverso due film, Hospitalité del 2010 e Au revoir l’été di tre anni successivo, con i quali si impone come una delle voci più originali del Sol Levante. Una voce che si fa sentire anche in contesti più pratici e legati ai problemi che da decenni colpiscono l’industria cinematografica giapponese, come gli abusi di potere e quelli sessuali e il ruolo delle donne nel cinema del proprio paese, problematiche che assieme ad altri colleghi, fra cui Miwa Nishikawa e Hirokazu Kore’eda, negli ultimissimi tempi ha deciso di affrontare direttamente attraverso la creazione di un gruppo di registi-attivisti.

Fuori concorso troviamo invece When The Waves are Gone di Lav Diaz, film di tre ore e coproduzione fra Danimarca, Francia e Portogallo attraverso il quale il regista filippino reinterpreta a suo modo la storia de Il conte di Montecristo. Finalmente liberato dopo trent’anni di prigionia, in una notte di tempesta, un uomo si imbarca in una lunga vendetta contro un suo vecchio ed ormai ex amico, con il quale tre decenni prima aveva rapinato una banca. Non riconosciuto da nessuno e dopo aver eliminato lentamente tutti gli uomini di cui si attornia il suo ex compagno, ora uomo di potere, il fuggiasco si troverà faccia a faccia con colui che gli ha rubato la gioventù e gli anni migliori della sua vita.

Sempre fuori concorso arriva l’atteso Call of God, ultimo lavoro di Kim Ki-duk, il regista sudcoreano Leone d’Oro nel 2012 con Pietà e scomparso lo scorso dicembre a causa di complicazioni derivate dal covid, proprio mentre stava completando il lungometraggio in Lettonia. Il film è stato finito da Artur Veeber, regista, produttore e collaboratore di Kim. Nel 2017 l’autore sudcoreano era stato accusato di violenze sessuali da varie donne, questo scandalo lo aveva allontanato dall’industria cinematografica del suo paese e spinto a lavorare per lo più nei paesi baltici. È difficile prevedere come l’invito del film e lo stesso lungometraggio sarà accolto sul Lido.

In Orizzonti trova posto A Man del giapponese Kei Ishikawa, già presente nella stessa sezione cinque anni fa con il suo Traces of Sin, qui la storia comincia quando Kido, un avvocato, riceve una strana richiesta da Rie, una sua ex cliente. La donna, interpretata dall’ottima Sakura Ando (Un affare di famiglia, 0.5mm, Asleep), vuole che lui faccia un controllo sul passato del suo defunto marito, Daisuke. Dopo aver divorziato la donna si era trasferita nella sua città natale con il figlio e lì aveva incontrato e poi sposato Daisuke. Un giorno il suo nuovo marito muore in un tragico incidente, ma durante il funerale, grazie alla testimonianza del fratello si scopre che l’uomo che Rie aveva sposato non era Daisuke, ma un’altra persona.

Le Giornate degli autori porteranno al Lido Stonewalling di Huang Ji e Ryuji Otsuka, coppia sino-giapponese che, fra le varie collaborazioni, ha realizzato nel 2013 il documentario Trace e The Foolish Bird, quest’ultimo presentato alla Berlinale nel 2017. Stonewalling racconta la storia della ventenne Lynn, aspirante assistente di volo che scopre però di essere incinta, il conseguente aborto e la confusione che invade la sua vita la costringerà a intraprendere nuovi cammini nella sua vita.

Come sempre il programma dei lavori estremo orientali alla Biennale si completa con Venezia Classici, quest’anno tre sono le opere che saranno presentate, naturalmente in versioni restaurate. A Hen in the Wind di Yasujiro Ozu del 1948 con Kinuyo Tanaka, la cui figura di regista è stata di recente giustamente rivalutata e riscoperta, ma che rimane più famosa in patria e all’estero come attrice. Il classico lisergico La Farfalla sul mirino, lungometraggio del 1967 a causa del quale il suo regista Seijun Suzuki fu licenziato dalla Nikkatsu, il film fu definito senza senso, e di fatto non poté lavorare nel mondo del cinema del suo paese per circa dieci anni. Ma forse il film da (ri)scoprire in questa sezione è Il profondo desiderio degli dei di Shohei Imamura del 1968, nel quale il regista giapponese fa scontrare due mondi diversi e quasi stranieri, quello delle ancestrali tradizioni di un’isola dell’arcipelago Ryukyu (Okinawa) e quello di un ingegnere mandato sull’isola da Tokyo.