Cina, E-commerce e finanza, l’alleanza c’è
Cina Alla fine del 2015 il valore fintech cinese era stimato tra 12mila miliardi e 15 mila miliardi di yuan, circa un quinto del Pil nazionale
Cina Alla fine del 2015 il valore fintech cinese era stimato tra 12mila miliardi e 15 mila miliardi di yuan, circa un quinto del Pil nazionale
Così come ha cambiato il modo di fare acquisti in Cina, Jack Ma si è riproposto di cambiare anche il mondo delle finanza e delle banche d’oltre Muraglia.
Oggi il fondatore di Alibaba non può più essere considerato un barbaro, ma fino a due o tre anni fa, il colosso dell’e-commerce da lui fondato 16 anni fa assieme a Tencent e addirittura Baidu, il motore di ricerca capace di cannibalizzare Google in Cina, si era dimostrati tali, almeno tra gli addetti della finanza e del sistema bancario.
La definizione di «barbari che vengono dall’esterno» la si legge in uno studio di McKinsey che si chiede quale sarà il prossimo sviluppo della tecnologia finanziaria (fintech) del Dragone. «La Cina ha un sistema competitivo unico dominato da pochi magnati digitali», spiegano gli analisti della società di consulenza, «nel corso degli anni hanno messo in piedi ecosistema finanziario completo e a più livelli facendo leva su un’ampia base di clienti e sui bassi costi di acquisizione attraverso Internet».
Ognuno ha seguito la propria strada, dedicandosi a un determinato target o settore. Alibaba è partito dall’e-commerce, estendendosi nella finanza prima attraverso i pagamenti e poi nel sistema del risparmio gestito e nei finanziamenti alle aziende, puntando su singoli clienti e piccole e medie imprese. Oggi tratta anche in Italia per permettere di utilizzare il servizio di pagamento Alipay nei pos della penisola.
Tencent, spiega ancora McKinsey ha seguito invece un’altra strada, sfruttando la diffusione del sistema di messaggistica istantanea Weixin, meglio conosciuto da queste parti come WeChat.
Ancora sul’e-commerce ha fatto leva Jd.com, principale concorrente di Alibaba, anche se le quote di mercato forse non permettono di parlare a pieno di concorrenza.
Dall’alto di un predominio su oltre il 70% del mercato del commercio elettronico cinese la creatura di Jack Ma è quasi un monopolista. Attorno a questi colossi si muove una miriade di piccole società, specializzate in nicchie di mercato, dal credito peer-to-peer, al risparmio gestito.
Le istituzioni finanziarie si muovo a loro volta verso un’accelerazione della digitalizzazione. Lo fanno le principali assicurazioni, come PingAn, e lo fanno i grandi istituti di credito: Industrial and Construction Bank of China e la Construction Bank.
La strategia seguita è spesso quella dell’alleanza con i colossi della rete: Citic Bank fa squadra con Baidu; la Banca di Pechino si è alleata con Tencent. La terza categoria che si è buttata nel settore è quella dei grandi conglomerati e dei colossi del commercio come Suning e Wanda, che intendo amalgamare le attività commerciali offline, le piattaforme in rete i servizi finanziari.
Alla fine del 2015 il valore fintech cinese era stimato tra 12mila miliardi e 15 mila miliardi di yuan, vale a dire circa un quinto del pil nazionale.
I volumi delle transazioni dei prestiti P2P sono stati pari a 500 milioni di yuan, i pagamenti di parti terze hanno superato i 10mila miliardi di yuan. Così come nel risparmio gestito Yu’e Bao di Alibaba ha raccolto i 700 miliardi di renminbi.
La propensione dei cinesi a far ricorso a tali strumenti spiega soltanto in parte il successo.
Affinché riuscissero a prosperare ha contribuito l’atteggiamento dei regolatori, pronti ad assecondarne la crescita fintanto che i nuovi arrivati non siano di eccessivo intoppo alle istituzioni consolidate oppure non costituiscano rischi.
Nell’autunno del 2015 c’è stata una stretta contro le finanziarie peer-to-peer.
Il credito attraverso parti terze rientra nel più ampio fenomeno del credito ombra, fonte alternativa di finanziamento per le imprese più piccole e soluzione contro le storture del sistema bancario dominato dalle grandi banche di Stato le cui preferenze nell’elargizione del credito vanno spesso e volentieri alle aziende pubbliche.
Controindicazione: imprese fuori mercato già oberate di debiti continuano a indebitarsi. Il rischio è quindi quello di bancarotta per le finanziare cariche di debiti inesigibili.
La stretta aveva quindi come scopo quella di «pulire» il mercato, in modo da non danneggiare le realtà più grandi, considerate utili e innovativa.
Capita comunque che a volte anche campioni dell’industria hi-tech come Alibaba e Tencent subiscano alcuni stop.
Nel 2014 fu impedito loro di procedere con il programma per facilitare i pagamenti attraverso codice Qr perché ritenuti ancora poco sicuri.
E c’è poi il fattore truffa. Il rischio più alto tra le finanziarie P2P. Il caso più eclatante fu lo scandalo Ezubao esploso a febbraio quando lo schema Ponzi messo in piedi dal 34enne Ding Ning crollò.
Prima però, nel giro di un anno e mezzo era riuscito a racimolare fondi per 50 miliardi di yuan, circa 7 miliardi di euro, e truffare circa 900mila investitori attirati dal guadagno facile e dalla promessa di investimenti con rendimenti che andavano dal 9 al 14%. Di recente il banchiere centrale Zhou Xiaochuan ha però fatto intendere che una regolamentazione è dietro l’angolo.
La People’s bank of China manterrà l’attenzione sullo shadow banking. Sullo sfondo delle parole del numero uno della PboC, sottolinea Bloomberg, c’è anche il lancio della nuova banca online targata Alibaba.
My Bank, così come la WeBank di Tencent inaugurata in pompa magna alla presenza dello stesso primo ministro Li Keqiang, potrebbe rappresentare una sfida al sistema bancario tradizionale.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento