Ciclone Intercept, contro Lula tramava anche il giudice Fux
Nel Brasile di Bolsonaro Il ministro della Corte suprema, tra i più ostili all’ex presidente, finisce nello scandalo politico-giudiziario del momento. I dialoghi svelati da Glenn Greenwald forse sono falsi costruiti da un hacker, sostiene Rete Globo. Ma nessuno, a cominciare dall'attuale ministro della Giustizia Sèrgio Moro, li ha mai smentiti
Nel Brasile di Bolsonaro Il ministro della Corte suprema, tra i più ostili all’ex presidente, finisce nello scandalo politico-giudiziario del momento. I dialoghi svelati da Glenn Greenwald forse sono falsi costruiti da un hacker, sostiene Rete Globo. Ma nessuno, a cominciare dall'attuale ministro della Giustizia Sèrgio Moro, li ha mai smentiti
Sarà un lento stillicidio di rivelazioni, per il ministro Sérgio Moro e gli altri diretti interessati, quello relativo ai nuovi «messaggi segreti della Lava Jato» già annunciati dal giornale on-line The Intercept. Per ingannare l’attesa, però, Glenn Greenwald e i suoi colleghi hanno provveduto mercoledì notte – a poco più di 24 ore dallo sciopero generale che si prevede paralizzerà oggi il Brasile – a pubblicare la versione integrale delle conversazioni già al centro dei reportage di domenica scorsa, offrendo nuovi interessantissimi dati.
SE LA POSIZIONE DI MORO e del coordinatore della task force della Lava Jato Deltan Dallagnol la situazione sembra aggravarsi ulteriormente, un’altra figura importante viene travolta dallo scandalo: il ministro della Corte Suprema Luiz Fux, uno dei più ostili nei confronti di Lula.
Il 22 aprile del 2016, Dallagnol rivela infatti di aver conversato «un’altra volta con Fux», schieratosi con la Lava Jato nel braccio di ferro tra Moro e il giudice Teori Zavascki, il quale aveva duramente criticato la divulgazione delle illegali intercettazioni telefoniche riguardanti Lula e Dilma Rousseff. «Fux ha detto di contare su di lui per quello di cui abbiamo bisogno. (…) I segnali sono stati ottimi e ho parlato dell’importanza di proteggerci come istituzioni, specialmente nel nuovo governo».
E la risposta di Moro non si fa attendere: «Eccellente, in Fux we trust», scrive parafrasando il motto nazionale statunitense in God we trust, in Dio noi confidiamo. E faceva bene a confidare, considerando che Fux avrebbe poi impedito a Lula, prima delle elezioni del 2018, di rilasciare l’intervista che era già stata autorizzata dalla Corte suprema (la stessa che tanto aveva preoccupato i pm).
DI CRUCIALE IMPORTANZA è anche lo scambio in cui, il 7 dicembre 2015, Moro asseconda Dallagnol riguardo all’opportunità di inventare una denuncia anonima al fine di avviare una nuova linea di indagine sul presunto coinvolgimento di Lula nello schema di corruzione della Petrobras. Nel momento in cui la «persona disposta a dare informazioni» indicata da Moro a Dallagnol si era rifiutata di parlare con il procuratore, quest’ultimo scrive: «Sto pensando a un mandato di comparizione, magari sulla base di una notizia apocrifa». E Moro risponde: «È strano, perché è lui che aveva chiesto alle persone di contattarmi. Meglio formalizzare allora».
Ancora, in un’ulteriore dimostrazione di quanto Moro orientasse il lavoro della task force, nell’agosto del 2016 il giudice di prima istanza preme su Dallagnol per nuove operazioni. E il procuratore si giustifica dicendo che avevano voluto «rimandare tutto» di proposito in attesa di presentare la denuncia contro Lula, «a parte l’operazione di Tacla Duran (uno dei legali della Odebrecht, ndr) per il rischio di evasione, ma questa dipende – spiega – dalla collaborazione con gli americani». Una precisazione, questa, su cui ha subito posto l’accento il governatore del Maranhão Flávio Dino, del Partito comunista del Brasile, il quale ha ricordato come non sia possibile «portare avanti clandestinamente una “collaborazione con gli americani”», dal momento che «esiste un processo legale perché tale “collaborazione” sia possibile».
E mentre l’hashtag #morotraidordapatria spopola sulle reti sociali, la Rete Globo – tra gli indiscussi protagonisti del golpe contro Dilma Rousseff e di tutto ciò che sarebbe seguito da allora – ha rotto gli indugi, schierandosi apertamente con la Lava Jato.
PUNTANDO IN MANIERA CHIARA su una strategia di riduzione del danno – nella speranza che man mano si calmino le acque – la Globo rivolge tutta la sua attenzione sul presunto hackeraggio dei cellulari dei membri del pool Lava Jato, nel tentativo di farli passare come vittime. E a partire da qui la task force ha mosso un passo oltre, sostenendo l’impossibilità di stabilire, di fronte alla «divulgazione di presunti dialoghi ottenuti con mezzi assolutamente illeciti», se vi siano state «alterazioni, aggiunte o soppressioni nel materiale ottenuto».
Senza contare – si legge in una nota diffusa in seguito ad attacchi hacker denunciati negli ultimi giorni dal pubblico ministero federale – che «interi dialoghi possono essere stati inventati dall’hacker e attribuiti alle autorità e ai loro interlocutori». Che poi Moro non abbia mai smentito l’autenticità dei messaggi, limitandosi a sostenere di non trovarci nulla di irregolare, è evidentemente un dettaglio di poco conto.
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