L’avvocato Carlo Smuraglia cominciò la sua carriera giovanissimo, negli anni ’50, poco dopo essersi laureato all’ex istituto Mussolini (poi Sant’Anna) di Pisa, insieme a Lelio Basso difese e ottenne l’assoluzione di un gruppo di partigiani accusati di vari omicidi durante la guerra di Liberazione dal nazifascismo. Poi tanti casi di grandi dimensioni, sempre dalla stessa parte della barricata: dalla difesa degli studenti del Parini di Milano accusati di oscenità per la rivista La zanzara alle parti civili per i fatti di Reggio Emilia, la fuga di diossina a Seveso e il sequestro e l’omicidio di Cristina Mazzotti da parte della ’ndrangheta.

E in mezzo il caso Pinelli che, per sua stessa ammissione, segnò in maniera profonda la sua intera vita professionale. L’ingiustizia che seguì la tragedia della morte del ferroviere anarchico dopo la strage di piazza Fontana è stata raccontata più volte dall’ex presidente dell’Anpi e con la famiglia Pinelli il legame è rimasto profondo fino all’ultimo.

Ne abbiamo parlato con Silvia Pinelli, che insieme a sua madre Licia e a sua sorella Claudia ancora oggi si batte per la verità sulla morte del padre. Smuraglia è stato l’avvocato di famiglia per mezzo secolo e, quando dieci giorni fa i Pinelli hanno deciso di querelare l’ex prefetto Serra – che alla commemorazione per l’anniversario dell’omicidio Calabresi aveva rilanciato la fandonia del suicidio del ferroviere – si sono rivolti ancora una volta al suo studio legale.

Silvia Pinelli, che ricordo ha di Carlo Smuraglia?
La sua morte è una perdita enorme, non solo per noi ma per tutti. Fino all’ultimo giorno ha mantenuto una lucidità e uno spirito fuori dal comune, così come era fuori dal comune la sua capacità di immaginare un futuro. Una qualità che purtroppo in pochi hanno.

Smuraglia ha sempre detto che la vicenda di suo padre ha reso diverso il suo sguardo verso la professione forense e la politica. Vi è stato accanto per mezzo secolo.
Sì, ci ha seguite sempre e anche pochi giorni fa, quando abbiamo sporto querela contro il prefetto Serra, ci siamo rivolte al suo studio e abbiamo avuto la sua consulenza. È una storia che va avanti dal processo per la morte di mio padre, quando Smuraglia ebbe una serie di scontri durissimi soprattutto con Michele Lener, che era l’avvocato di Calabresi. Licia, mia madre, ha sempre ricordato questa vicenda e anche lei è addolorata per la sua scomparsa.

Negli anni le vostre strade si sono incrociate anche all’interno dell’Anpi.
Io sono iscritta all’Anpi da una decina d’anni, ma ho partecipato a tanti incontri pubblici con lui. Durante l’ultimo, lo scorso ottobre qui a Milano, ha sottolineato ancora una volta quanto sia assurdo che qualcuno entri in un ufficio pubblico da vivo e non ne esca più. Ha detto che lo Stato dovrebbe rispondere per cose del genere e che però, nel caso di mio padre, nessuno l’ha fatto. Quella sera lo ricordo come sempre lucidissimo e capace di parlare a tutti. Mi colpì molto che, a 98 anni, riuscì a fare un discorso di un’ora restando sempre in piedi e senza mai perdere il filo.

Che ricordo ha della sua presidenza dell’Anpi?
Era una di quelle persone che ti spronava, era capace di dare a tutti forza ed entusiasmo: qualità che non tutti hanno. Ho memoria di tantissimi discorsi e soprattutto della sua profonda fermezza nel portare avanti i valori per cui ha lottato tutta la vita. Ricordo bene quando, durante la campagna referendaria del 2016, piovevano da tutte le parti attacchi sull’Anpi e lui fu capace di reagire in maniera esemplare, fino a quella volta alla Festa dell’Unità di Bologna in cui, davanti a una folla, uscì vincitore dal dibattito con Matteo Renzi.