Chi si nasconde dietro l’account delle minacce a don Mattia
L'inchiesta Presso la procura di Modena depositato un dossier redatto dagli attivisti di Jl Project: ci sarebbe nome e cognome del profilo Twitter accusato di aver diffuso contenuti intimidatori contro il cappellano di Mediterranea
L'inchiesta Presso la procura di Modena depositato un dossier redatto dagli attivisti di Jl Project: ci sarebbe nome e cognome del profilo Twitter accusato di aver diffuso contenuti intimidatori contro il cappellano di Mediterranea
La denuncia per diffamazione e minacce presentata da don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea, potrebbe trovarsi a un punto di svolta. Ieri l’avvocata Francesca Cancellaro, che lo assiste, ha depositato presso la procura di Modena un dossier che darebbe finalmente nome e cognome all’account Twitter «Migrants rescue watch @rgowans», da cui a maggio 2021 sono stati diffusi i contenuti ritenuti intimidatori. Non si tratta di un profilo come gli altri: segue quotidianamente quanto accade lungo la rotta migratoria del Mediterraneo centrale potendo contare su foto e dati di prima mano dal versante libico nonché, in alcune occasioni, di documenti protocollati dalle autorità italiane. Con queste informazioni promuove una narrazione indulgente verso guardiacoste e gestori dei centri di prigionia di Tripoli e attacca continuamente le Ong che salvano i migranti, accostandole ai trafficanti di esseri umani. Stessa accusa rivolta a don Mattia, insieme a insulti e velate minacce.
A novembre 2022 il pm Pasquale Mazzei, senza approfondire l’identità dell’account, ha chiesto l’archiviazione del caso non rilevando i margini della diffamazione (aveva inizialmente escluso le minacce). Il provvedimento è stato impugnato da Cancellaro a cui la Gip Antonella Pini Bentivoglio ha dato ragione disponendo un supplemento di indagini. Le seguirà il pm Giuseppe Di Giorgio, perché ora Mazzei è in servizio a Venezia. «Nel dossier che abbiamo depositato, redatto da un gruppo di attivisti, ci sono spunti investigativi che portano a una possibile identificazione della persona che gestisce l’account – afferma Cancellaro – È un lavoro straordinario perché mostra che volendo cercare è possibile trovare qualcosa. Adesso spetta agli inquirenti, che dispongono di ben altri mezzi, fare le verifiche necessarie».
Il lavoro di inchiesta è stato condotto da 50 volontari del Jl Project – entrato a far parte di Mediterranea – che hanno realizzato un’analisi sistematica di tutti gli oltre 16mila tweet partiti dal profilo. Hanno trovato «tre errori», cioè tre tracce. Attraverso il confronto tra diverse informazioni, fotografie e gli indizi relativi a un indirizzo mail pubblicato per sbaglio sono arrivati a Robert Bxxxxx. Il cognome è oscurato per privacy ma è stato consegnato agli inquirenti. Secondo l’identikit l’uomo avrebbe lavorato per la guardia costiera canadese, parlerebbe sei lingue e sarebbe originario di una minoranza slava della Germania, i sorbi. Soprattutto, gestirebbe l’account da solo contando su un’ampia rete di contatti. Principalmente libici.
Il particolare più inquietante riguarda il direttore del dipartimento data center di una società che ha l’appalto dei sistemi informatici di controllo delle frontiere di Frontex: ha lo stesso nome e cognome. Gli attivisti di Jl Project sottolineano di non avere informazioni sufficienti per dire se si tratti della stessa persona o di un omonimo. Potranno verificarlo i pm.
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