Durante l’ultimo martedì di primarie Usa Liz Cheney, la battagliera deputata repubblicana del Wyoming, è stata punita dall’elettorato repubblicano rimasto fedele a Trump. Dopo essere stata promossa per tre mandati di fila, la figlia dell’ex vice presidente Dick Cheney ha subito una sconfitta annunciata.

Fino alla rottura con The Donald dopo l’attacco a Capitol Hill, Cheney era uno degli astri nascenti del Gop. Tutto è cambiato quando la deputata si è unita ad altri nove colleghi repubblicani e votato a favore del secondo impeachment di Trump, quello relativo all’assalto al Congresso: prima è stata rimossa dal partito dalla sua posizione di leadership alla Camera, ora è l’ottava di quei 10 deputati a non essere rieletta.

A RENDERLA ancora più invisa all’elettorato di destra è stato poi l’impegno come vicepresidente della commissione d’inchiesta che sta indagando sui fatti del 6 gennaio, ruolo che Cheney ricopre con aggressività politica presentandosi come punto di riferimento di un partito repubblicano «buono». «Queste primarie sono finite, ma ora inizia il vero lavoro», ha detto Cheney dopo aver perso contro la sfidante sostenuta da Trump, Harriet Hageman.

Nel suo discorso di concessione, Cheney ha promesso di continuare a combattere le bugie elettorali dell’ex presidente e di allontanare il Gop dalla sua influenza nefasta. E sembra che faccia sul serio: poche ore dopo si è sparsa la notizia che la deputata lancerà un’organizzazione per mobilitare uno sforzo unitario contro qualsiasi campagna presidenziale di Trump. La sconfitta elettorale ha definitivamente consacrato Cheney come martire Gop del movimento anti-Trump, movimento che lei stessa ha contribuito a rafforzare.

PRIMA DI DIVENTARE il fumo negli occhi di Trump, l’opposizione di Cheney ad Obama non era stata meno battagliera, mostrando una certa propensione a giocare nel fango. Non ha mai detto apertamente che Obama, essendo nero, non poteva essere americano ma non si è mai nemmeno distaccata da quel tipo di retorica portata avanti da Trump, di cui aveva appoggiato la candidatura del 2016, definendo Hillary Clinton la candidata «più corrotta di sempre».

È così che era diventata una stella nascente e un membro del Congresso. Quando ha deciso che Trump, in effetti, era una presenza cancerogena, il danno era fatto. Se Cheney dovrà ora criticare il partito dall’esilio, in Alaska invece si è assistito a un grande ritorno: ad avanzare come candidata alla Camera è stata Sarah Palin, l’ex governatrice dello Stato scelta da John McCain come sua vice nelle presidenziali del 2008.

Palin è considerata una dei capostipiti della nuova destra repubblicana dal tea party in poi, immortalata perfettamente nel film Game Change di Jay Roach, che individua nella sua ascesa politica il cambiamento di rotta del Gop che ha portato alla deriva trumpista.

IN ALASKA la sua candidatura alla Camera era stata appoggiata da Trump, per il seggio detenuto per 49 anni da Don Young e rimasto vacante dopo la sua morte avvenuta lo scorso marzo.

Per il Senato, sempre in Alaska, dopo il risultato delle primarie la rosa di candidati si è ristretta a tre nomi. A novembre Lisa Murkowski, senatrice repubblicana centrista (tra i 10 che hanno votato per il secondo impeachment di Trump) correrà per la riconferma e dovrà scontrarsi con la sfidante, un’altra filo-trumpiana, Kelly Tshibaka.