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Cheddite, munizioni italiane al regime iraniano passando per Ankara

Cheddite, munizioni italiane al regime iraniano passando per AnkaraInvolucri realizzati da Cheddite, rinvenuti in Iran a fine settembre 2022

Armi Cartucce e polveri da sparo passano attraverso i buchi normativi. Appello al governo per chiedere controlli più stringenti sull’export

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 14 dicembre 2022

Sul caso delle cartucce da caccia, a marchio della ditta franco-italiana Cheddite, fotografate durante la repressione delle proteste di piazza da parte del regime degli ayatollah (come anche in Myanmar e Siria), la risposta del ministero degli Esteri italiano è senza appello: «Nessun trasferimento di materiale d’armamento è lecito verso l’Iran». Poco importa si tratti di armi da guerra (la cui esportazione è soggetta alla legge 185/1990) o di munizioni «comuni, sportive o da caccia» (normativa 110/1975).

COME GIÀ RACCONTATO da questo quotidiano, Amnesty international Italia, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Rete italiana pace e disarmo, Associazione Italia-Birmania insieme e l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza, il 30 novembre avevano scritto all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) del ministero degli Esteri, che per conto del dicastero degli Interni è chiamata a rilasciare il proprio parere sulle richieste di esportazioni di armamenti. La risposta è arrivata il 9 dicembre, a firma del direttore di Uama, Alberto Cutillo. Il quale ha confermato che «negli ultimi cinque anni sono state esaminate diverse richieste di parere su istanze di autorizzazioni ai sensi della legge 110/1975 presentate dalla Cheddite al ministero dell’Interno per l’esportazione di cartucce e/o polvere da sparo verso diversi Paesi. In alcuni casi il parere emesso al termine di una accurata istruttoria è stato negativo, in altri positivo. Tra i paesi destinatari di tali richieste figura, in particolare, la Turchia». Rotta, rapporti d’affari e in passato anche partecipazioni dirette della ditta franco-italiana in un’azienda anatolica (la Yaf), che questo quotidiano aveva già rivelato nell’estate del 2021 in merito alle cartucce fotografate in Myanmar dopo le proteste pro-democrazia contro i golpisti.

Ecco perché ieri le cinque associazioni che hanno interpellato su questo caso il ministero degli Esteri hanno rilasciato una nota congiunta nella quale scrivono: «Riteniamo altamente problematico il fatto che sia stato concesso il permesso alla Cheddite S.r.l. di esportare “cartucce o polvere da sparo” verso la Turchia, Paese che può averle vendute all’Iran. Tale genere di materiali, infatti, può essere utilizzato non solo per il munizionamento di tipo comune, sportivo o da caccia, ma anche per l’utilizzo da parte di corpi di sicurezza». Ma c’è di più. Perché in merito all’Iran il direttore di Uama, Alberto Cutillo, ha aggiunto che «dal colloquio con l’azienda è emerso che i bossoli prodotti e marchiati Cheddite possono essere venduti da società estere ad aziende iraniane e da queste ultime utilizzati per la produzione di cartucce complete. Tale ipotesi viene avvalorata dal fatto che sui 13 bossoli rinvenuti, oltre al marchio Cheddite, appare la stampigliatura di aziende iraniane».

ED ECCO IL BUCO normativo: «In merito, risulta opportuno evidenziare che l’attuale normativa nazionale non annovera i bossoli tra i materiali soggetti a vincolo in export», ha ricordato il ministero degli Esteri. «La cartuccia da caccia è composta da 4 parti: fondello metallico solitamente di ottone, corpo tubolare in plastica, poi esplosivo e proiettili inseriti nel corpo e infine l’innesco», spiega a il manifesto Carlo Tombola dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza (Opal), una delle cinque associazioni che hanno interpellato l’Uama. «Queste parti possono viaggiare separatamente (esportate come plastiche o metalli non soggetti a controllo) per essere poi assemblate altrove. Soltanto l’innesco, il costituente della munizione, e l’esplosivo sono soggetti a restrizioni normative e viene controllato dalle Prefetture. L’Italia esporta sia munizioni complete, sia in parti, sia i macchinati per produrle. Il tracciamento è quindi difficile. Le aziende devono vendere e fare profitti, quindi nel limite dei controlli, tendono a vendere più che possono, come possono. Poco gli importa chi sia il destinatario finale o l’uso che ne viene fatto. Se l’azienda Cheddite vende ad una ditta turca che poi rivende questo materiale non è più controllabile», denuncia Tombola dell’Opal.

ECCO PERCHÉ, nel rispondere al ministero, le cinque associazioni chiedono ora «controlli più stringenti», ribadendo che «nessuna licenza di esportazione dovrebbe essere concessa per ogni tipo di materiale che potrebbe esser utilizzato per la repressione interna o per comporre munizionamento destinato a Paesi terzi».

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