Che non cali il sipario
Il complesso dell'Università delle arti all'Avana visto dall'alto
Cultura

Che non cali il sipario

Architettura La scuola di teatro di Roberto Gottardi, parte dell’utopico progetto cubano dell’Università delle Arti all’Avana, rimase incompiuta e fino a oggi è rimasta nell'oblio. Ma un restauro, frutto di un accordo fra il governo italiano e quello di Cuba, la sta riportando a nuova vita

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 5 dicembre 2021

È l’icona architettonica più importante realizzata dalla Rivoluzione cubana. Purtroppo incompiuta e, per molti versi, (assai) deteriorata, come spesso accade alle utopie. Si tratta dell’Università delle arti dell’Avana, ex Isa, nata appunto da un messaggio utopico lanciato da Fidel Castro nel 1960 (come si racconta anche in un articolo pubblicato da Alias nel maggio 2014) mentre sul terreno dell’esclusivo Havana Country Club, assieme a Che Guevara, parodiava una partita di golf, sport prediletto dall’allora presidente degli Stati uniti, Eisenhower.

«Cuba potrà contare sull’ Accademia d’arte più bella del mondo. Perché è costruita nel quartiere residenziale più bello (il Country Club) … dove viveva la borghesia più ricca e anche più incolta. Gli studenti potranno abitare nelle case dove avevano la residenza i milionari», ebbe a dire il lider maximo nel suo celebre discorso «Parole agli intellettuali» (giugno 1960).

L’incarico di eseguire questo progetto utopico fu affidato a tre architetti, il cubano Riccardo Porro (morto a Parigi nel 2015) e gli italiani Vittorio Garatti e Roberto Gottardi (scomparso all’Avana nel 2017). I quali, in soli due mesi, realizzarono i bozzetti e disegnarono i piani di cinque scuole, Arte plastica e Danza moderna (Porro), Musica e Balletto ( Garatti), Arte drammatica (Gottardi).

Un concerto in accademia

 

PER COSTRUIRLE, impiegarono il materiale che avevano a disposizione – argilla cotta, mattoni e tegole, e cemento. Di acciaio ce n’era poco, a causa dell’embargo voluto da Eisenhower. Solo due scuole furono (quasi del tutto) portate a termine, quelle di Porro. Parzialmente (circa il 60%) quella di Teatro di Gottardi.

A metà degli anni Sessanta, il realismo socialista made in Urss, di fatto, ebbe la meglio sull’utopia caraibica. La maggioranza degli edifici con le suggestive volte catalane in laterizio e i loro lucernari – che «assomigliavano a cupole stilizzate o a bassi minareti» – come le raccontò lo scrittore Cabrera Infante – furono lasciati incompleti e abbandonati. All’incuria del tempo e anche a un vandalismo predatorio del vicinato, bisognoso di materiale da costruzione.

«L’Accademia d’arte più bella del mondo» fu emarginata a favore di tristi costruzioni di un’edilizia popolare in stile jugoslavo, per far fronte alle esigenze abitative dell’isola. L’Accademia però cominciò a funzionare ugualmente, con i suoi edifici incompiuti, riuscendo a formare migliaia di artisti.

MA IL COMPLESSO della Scuola di Gottardi in tempi brevi (circa due anni) «rinascerà, sia dal punto di vista architettonico che funzionale, riportando la Facoltà di arte teatrale, oggi frazionata in più sedi, all’interno dell’Università delle arti. Ne beneficerà non solo questa istituzione ma l’intera comunità nazionale e internazionale», sostiene l’architetto Alessandro Merlo dell’Università degli Studi di Firenze (UniFi).
Rinascerà grazie al progetto Que no baje el telón (Che non cali il sipario) frutto dell’accordo tra il governo di Cuba (Ministero della cultura) e quello italiano, rappresentato dal Ministero degli esteri e dall’Agenzia italiana di cooperazione per lo sviluppo (Aics).

Si tratta, come spiega Merlo, di un accordo intergovernamentale – finanziato al 50% dall’Aics per un totale di 5 milioni di euro – che prevede non solo il recupero e la ristrutturazione degli edifici della Scuola di teatro ma include corsi e seminari per favorire la collaborazione tra giovani artisti, architetti e professionisti del restauro affinché possano formulare proposte innovative che contribuiscano alla valorizzazione del patrimonio culturale di Cuba.

Merlo è il codirettore per la parte italiana del progetto, incaricato dal Dipartimento di architettura dell’UniFi, degli studi diagnostici per il recupero degli edifici, dei progetti di restauro e apertura dei cantieri e del controllo del lavoro che è affidato a tecnici cubani. Lo stato attuale della scuola – racconta – è «fortemente degradato, sia per il materiale con cui furono costruiti gli edifici sia per l’oblio che li ha avvolti per molti anni».

PARLANDO con il manifesto della «sua» scuola, Gottardi aveva affermato che era organizzata «in settori, con una somiglianza con le corporazioni della città medievale. Ognuno prevede sia la parte teorica che pratica. I patii sono i punti di incontro delle discipline. A livello spaziale, la curva favorisce l’indipendenza, va scoprendo poco a poco gli ambienti».

Infatti, «il progetto di Gottardi è di una razionalità e modernità stupefacente – continua Merlo -. Sembra immaginato per i giorni nostri. Una volta restaurato, potrà essere perfettamente funzionale. Vi è poi un grado di integrazione con l’ambiente che ha ben pochi paragoni. Questo vale per tutte le Scuole dell’Università delle arti, per le modalità con cui la parte costruita si integra con la natura tropicale del luogo, alberi, vegetazione, fiori e anche un torrentello, il Quibú, che attraversa l’ex Country club». Per questa ragione il Word monument fund ha inserito l’Università delle arti dell’Avana nella lista mondiale dei cento monumenti da preservare.

«Nei primi mesi del 2022 – conclude Merlo – apriremo i cantieri per il restauro degli edifici della Scuola di teatro. Vi è piena collaborazione con operai e tecnici cubani – l’ingegneria è compito della parte cubana – e tutto il progetto, architettonico e culturale, è efficacemente coordinato dalla responsabile della cooperazione internazionale dell’Università, Yanet Feliciano Valenciaga».

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