Internazionale

Chantal Meloni: «Impossibile per Israele obbedire senza cessare l’offensiva»

La presidente della Cig, Joan Donoghue, legge la decisione sul caso Sudafrica vs Israele foto Epa/Remko de WaalLa presidente della Cig, Joan Donoghue, legge la decisione sul caso Sudafrica vs Israele – Epa/Remko de Waal

La corte del miracolo Intervista alla professoressa di diritto penale internazionale: «Era impensabile accostare il termine "crimini" a Tel Aviv. Adesso lo fa il più alto tribunale del mondo. I giudici hanno colto il rischio immediato e concreto che sia in corso un genocidio a Gaza: dimostra che il caso portato dal Sudafrica è estremamente solido»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 27 gennaio 2024

«È un momento storico, da celebrare anche solo per il fatto che la corte più alta nel sistema delle Nazioni unite ha affermato di avere giurisdizione sul caso e perché lo ha ritenuto plausibile: procederà nel merito della richiesta del Sudafrica di determinare se Israele possa essere considerato responsabile di genocidio». A Chantal Meloni, professoressa associata di diritto penale internazionale all’Università degli Studi di Milano, abbiamo chiesto di commentare con noi la giornata di ieri all’Aja.

Che significato va dato alla decisione di ieri della Corte internazionale di giustizia (Cig)?

È comprensibile la frustrazione dei palestinesi, la Corte non ha ordinato un cessate il fuoco in modo netto. Ma bisogna capire quali erano gli strumenti in mano alla Cig. E visto che la controversia è stata portata dal Sudafrica, uno stato terzo, va considerato che sarebbe stato molto difficile per i giudici imporre un cessate il fuoco che obbligherebbe entrambe le parti in conflitto, quindi Hamas o più in generale la Palestina, che non erano di fronte alla Corte. Da un punto di vista giuridico era largamente atteso che la Cig non potesse spingersi fino ad accogliere in modo diretto la richiesta di ordinare il cessate il fuoco. Di fatto però, per il tipo di ordine che ha imposto, ha ordinato a larghissima maggioranza delle misure talmente forti che obbligano Israele, con effetto immediato, ad assicurare che non vengano uccisi membri del gruppo da proteggere, ovvero i palestinesi di Gaza. Non deve cioè compiere tutti quegli atti che da un punto di vista del diritto internazionale possono integrare il crimine di genocidio, come l’imporre condizioni di vita incompatibili con la sopravvivenza del gruppo.

Sono misure che quindi indirettamente impongono una cessazione delle ostilità?

È una prima interpretazione in senso «progressista»: ordinando queste misure con le parole più forti che poteva utilizzare e con effetto immediato, la Corte ha di fatto reso impossibile a Israele obbedire se non mediante una cessazione delle attività militari o comunque un’enorme limitazione dell’intervento militare a Gaza.

La delusione deriva dal precedente della Russia a cui la Corte nel marzo 2022 ordinò di cessare le azioni militari contro l’Ucraina.

La richiesta e lo scenario erano diversi. Capisco la frustrazione di chi parla di doppio standard ma in quel caso l’Ucraina, uno stato coinvolto nella guerra a differenza del Sudafrica, aveva dato un’interpretazione molto creativa della Convenzione sul genocidio sostenendo che la Russia aveva invaso con una scusa fabbricata, cioè di stare essa stessa subendo un genocidio. L’Ucraina ha chiesto alla Corte di dichiarare non valida quella motivazione. Era un caso diverso. In quello in questione inoltre era molto più difficile imporre un cessate il fuoco a entrambe le parti non essendo una delle due oggetto della controversia. La Cig ha emesso un ordine molto pulito e chiaro da un punto di vista giuridico, non affatto debole: quello che ha ordinato a Israele è estremamente significativo e per Israele sarà praticamente impossibile aderire all’ordine se non cambiando completamente la propria strategia a Gaza.

La Cig ha dato a Israele un mese per dimostrare di aver preso misure immediate per impedire la commissione di atti che potrebbero ammontare a un genocidio. Se non avvenisse, potrebbe modificare le misure provvisorie?

I giudici hanno istituito un meccanismo di monitoraggio, poi potrebbero pronunciarsi nuovamente: questo fa capire che hanno colto appieno l’urgenza e il rischio immediato e concreto che sia in corso un genocidio a Gaza. Si sono pronunciati velocemente, due settimane credo che sia un record, e con una maggioranza forte dicendo che la questione non finisce qui. Dimostra che il caso portato dal Sudafrica è estremamente solido al contrario di quello che è stato detto in primis da Israele, ma anche da alleati storici come Germania e Stati uniti che avevano cercato di liquidare il caso come un attacco politico o addirittura come atto di antisemitismo. Possiamo oggi dire che c’è un’accusa fondata che Israele stia commettendo crimini gravissimi, in particolare un genocidio nei confronti dei palestinesi. Fino a qualche anno fa era impensabile accostare il termine «crimini» allo Stato di Israele. Adesso abbiamo la più alta corte del mondo che lo sta facendo in modo molto netto.

La Corte ha rigettato la memoria difensiva israeliana, fondata sull’autodifesa e sulle responsabilità di Hamas.

Non sorprende dopo aver assistito alle udienze: gli argomenti difensivi di Israele erano molto deboli. È tutta in salita la strada per dimostrare che ciò che Hamas ha fatto il 7 ottobre integri a sua volta un genocidio come Israele ha sostenuto all’Aja. E in ogni caso nessun atto può giustificare un genocidio. La difficoltà è dimostrare che ci sia l’intento genocidiario, quindi che queste azioni siano messe in atto non solo perché si sta combattendo ma perché – come sostiene il Sudafrica e come sostengono i palestinesi da decenni – c’è un intento di pulizia etnica e persecuzione della popolazione palestinese. La Corte, sebbene non si sia ancora pronunciata, ha richiamato alcune delle dichiarazioni di ministri israeliani tra cui quello della difesa Gallant: fa capire che ci sono delle basi per ritenere che un intento esista.

Che effetti avrà questa decisione sul supporto diplomatico e militare che i paesi occidentali, a partire dagli Stati uniti, continuano a garantire a Israele?

È chiaro che ci saranno ricadute su Stati terzi che aderiscono alla Convenzione sul genocidio del 1948 e che hanno il dovere di prevenirlo. Le misure prese dalla Corte internazionale mettono «in mora» tutti i paesi del mondo: nessuno può più dire di ignorare il rischio imminente e concreto che sia commesso un genocidio da parte di Israele a Gaza. Le azioni di alleati storici, dagli Stati uniti all’Europa, che hanno contribuito ad armare Israele, dovranno essere lette in quest’ottica. Sarà compito dei giudici dei singoli stati, eventualmente, prendere in considerazione questa decisione.

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