L’udienza di Israele: il 7 ottobre fu genocidio, a Gaza è autodifesa
La corte del miracolo La risposta alle accuse del Sudafrica di fronte alla Corte internazionale, che promette: sentenza «il prima possibile». I legali israeliani non trattano i crimini citati da Pretoria, ma le responsabilità in capo ad Hamas
La corte del miracolo La risposta alle accuse del Sudafrica di fronte alla Corte internazionale, che promette: sentenza «il prima possibile». I legali israeliani non trattano i crimini citati da Pretoria, ma le responsabilità in capo ad Hamas
Alle 13.05 di ieri la presidente della Corte internazionale di Giustizia, Joan E. Donoghue, ha chiuso la seconda udienza del caso Sudafrica vs Israele. Il più alto tribunale del pianeta risponderà all’accusa di violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio del 1948 «il prima possibile».
Quando i 15 giudici si alzano solenni, l’aria sembra sospesa. Le ultime 48 ore resteranno nella storia del diritto internazionale. Per il ruolo del Sudafrica post-apartheid, quasi a rappresentare un pezzo di sud del mondo che prende parola. Per la pesantezza delle accuse, elencate mentre Gaza è all’inferno. E perché è la prima volta che Israele siede di fronte all’Aja con la propria memoria difensiva.
NEL 2004, quando la stessa corte lo giudicò per il muro di separazione e ne stabilì l’illegalità, le autorità israeliane non si presentarono. Quel parere rimase lettera morta, come le centinaia di risoluzioni Onu che dal 1948 chiedono a Israele di rispettare il diritto internazionale.
Anche su questo si fonda l’accusa del team legale di Pretoria: Israele agisce «sopra la legge». Ieri nell’intervento conclusivo il vice procuratore generale israeliano Gilad Noam ha risposto: Tel Aviv è «impegnata a rispettare il diritto internazionale». Per questo, ha aggiunto Noam, la richiesta sudafricana alla Corte di prendere misure immediate per interrompere l’offensiva israeliana su Gaza è «pregiudizievole»: esercito e governo israeliani fanno il massimo per evitare una crisi umanitaria.
Le conclusioni hanno riassunto gli interventi precedenti, incentrati su due punti chiave: le responsabilità di Hamas nell’iniziare la guerra e nel farla proseguire e gli sforzi israeliani in tema di aiuti umanitari e costituzione di aree sicure per i civili. Sullo sfondo sta il vero tema, quello politicamente e legalmente fondativo dell’iniziativa sudafricana: l’accusa di commettere o voler commettere un genocidio contro i palestinesi di Gaza, crimine punito a livello globale dopo gli orrori della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto.
Su questo ruotano gli interventi del team israeliano. A partire da Tal Becker, consigliere legale del ministero degli esteri: il Sudafrica, dice, svuota il termine «genocidio» e sminuisce la Convenzione, per poi affermare che un genocidio è stato commesso il 7 ottobre da Hamas con l’uccisione di 1.200 israeliani e il rapimento di 250 persone.
Lo ribadisce Malcolm Shaw, l’asso giocato da Israele all’Aja: il giurista britannico ritiene non ci siano dubbi sulla natura genocidiaria dell’attacco terroristico di Hamas. Su questo, prosegue Becker, si deve focalizzare l’analisi: non è iniziato tutto nel 1948, come sostiene il Sudafrica, ma il 7 ottobre. Senza quell’attacco, non ci sarebbe necessità di difendersi (Pretoria, giovedì, ha ribadito l’atrocità dell’attacco aggiungendo che in ogni caso non giustifica la successiva violazione del diritto internazionale).
IL RISCHIO, dice il team legale, è che l’iniziativa sudafricana sia un via libera ad Hamas a compiere nuove atrocità, presa di posizione che il ministero degli esteri su X conferma: «Il Sudafrica è fedele rappresentante di un’organizzazione terroristica».
Nella memoria difensiva di Israele è il punto centrale: la responsabilità del massacro a Gaza è solo di Hamas, che si nasconde tra i civili e sottrae gli aiuti. Tanti aiuti, dice l’avvocato israeliano Omri Sender, fino a 90 tonnellate di gas da cucina al giorno (sic) che Tel Aviv – gli fa eco il collega Christopher Staker – non è tenuto a far entrare: è l’Egitto che decide, spiega Staker, senza menzionare i controlli dell’esercito israeliano su ogni camion in entrata, che in ogni caso non arriva a nord.
Lo ha ribadito ieri l’Onu: «Siamo di fronte al sistematico rifiuto da parte israeliana di avere accesso al nord», ha detto l’agenzia Ocha spiegando l’interruzione delle attività in mezza Gaza.
L’altro fronte è quello delle precauzioni che l’esercito prenderebbe a tutela dei civili, dall’affermazione che la maggior parte dei 23mila uccisi siano in realtà miliziani di Hamas che – dice il team legale – conta circa 30mila uomini all’asserzione che buona parte siano morti per ordigni o missili palestinesi.
Svariati interventi, in particolare quello dell’avvocata Galit Raguan, si focalizzano sui volantini e le telefonate per segnalare ai civili le aree sicure e i bombardamenti in arrivo, in tre mesi di attacco inutili a evitare massacri secondo le prove raccolte da Onu e organizzazioni internazionali.
Seppur la maggior parte dei civili uccisi sia morta di raid aerei (una media di 6mila bombe a settimana), secondo Raguan «la guerriglia urbana porterà sempre a danneggiare i civili». L’avvocata nega gli attacchi a ospedali e strutture civili – di cui esistono le prove – per poi affermare che vanno imputati ad Hamas che lì dentro nasconderebbe armi e miliziani.
NELLE TRE ORE di difesa, il team legale israeliano ha preferito non affrontare per punti i presunti singoli crimini di cui giovedì è stato accusato, non fornendo prove per smontarli ma insistendo sul ruolo di Hamas e sulla ferocia del 7 ottobre come ragione di autodifesa.
Le porte del tribunale si chiudono, in attesa di una decisione su cui peseranno gli equilibri di potere: lo dicono i numeri, nel 90% dei casi i 15 giudici – indipendenti ma nominati dai rispettivi governi – votano in linea con le posizioni dei propri paesi. E all’Aja oggi siedono tanti alleati di Israele.
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98 giorni di offensiva, 23.708 uccisi
Gli undici palestinesi uccisi ieri nella casa della famiglia Fayyad, a Deir al-Balah, sono gli ultimi della lunga lista delle 23.708 vittime palestinesi dal 7 ottobre, 98 giorni di offensiva. Oltre 60mila i feriti. La famiglia Fayyad ha perso il padre, due figlie e due figli: «i corpi sono arrivati in ospedale a pezzi», ha detto il reporter Ashraf Abu Amra di al-Jazeera.
Ieri le bombe sono continuate a cadere, facendo saltare per la sesta volta i servizi di comunicazioni, telefonici e internet. Intanto, sempre da Deir al-Balah, il direttore dell’ospedale Martiri di al-Aqsa, Iyad Abu Zaher, ha avvertito: il carburante che l’Oms prevedeva in arrivo giovedì non è mai arrivato, «decine di malati e feriti in terapia intensiva e in neonatologia» rischiano di morire.
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