Economia

C’erano una volta gli 80 euro di Renzi: lo hanno restituito 1 milione e 700 mila

C’erano una volta gli 80 euro di Renzi: lo hanno restituito 1 milione e 700 milaMatteo Renzi ai tempi di Palazzo Chigi

Renzinomics Spesi 9 miliardi nel 2015 solo per il bonus Irpef. Aumentano le tasse locali

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 1 marzo 2017

Il bonus renziano degli 80 euro è stato restituito da 966 mila persone. In altri 765mila casi è stato necessario un rimborso parziale. Il dato è emerso dall’analisi delle dichiarazioni fiscali comunicata ieri dal ministero dell’economia: si tratta di contribuenti titolari di ulteriori redditi che li hanno portati a superare la soglia fissata per avere diritto al beneficio, oppure l’imposta dovuta è risultata inferiore alle detrazioni. Per 1 milione e 731 mila persone è crollato il mito del «successo» rivendicato da Renzi che ha speso 9 miliardi di euro per destinare a 11,2 milioni di lavoratori dipendenti un bonus che non è servito ad aumentare i consumi, ma tutt’al più a pagare le bollette.

In media sono stati erogati 800 euro a persona all’anno. Lo hanno ricevuto pienamente i dipendenti con 24mila euro di reddito complessivo. Il bonus cala fino ad azzerarsi con 26mila euro e oltre. Nove miliardi spesi nel 2015 che avrebbero potuto finanziare un sussidio contro la povertà assoluta per 4,6 milioni di persone (ce ne vogliono 7 secondo la Caritas, stanziato solo uno) oppure – integrati con i fondi spesi per bonus e mance elettorali, e una piccola quota dall’evasione fiscale – un reddito minimo: 14 miliardi, nella valutazione fornita dall’Istat a proposito di quello che il Movimento 5 Stelle chiama, impropriamente, «reddito di cittadinanza». Dalla fotografia della piramide dei redditi scattata dal Mef emerge che il 94% dei contribuenti italiani guadagna meno di 50 mila euro all’anno. Uno su due si trova sotto i 15 mila. Solo poco più di 30 mila persone guadagnano più di 300 mila.

Sono almeno due le diseguaglianze principali: quella tra precari e lavoratori stabili e quella geografica tra Nord e Sud. Analizzando i lavoratori dipendenti in base al tipo di contratto di lavoro, emerge che, se si considerano soltanto i soggetti con contratto a tempo indeterminato (pari a 16 milioni, +2,1% rispetto al 2014), il valore medio è pari a 23.068 euro (-1,3% rispetto all’anno precedente20), mentre coloro che hanno esclusivamente contratti a tempo determinato (pari a 4,8 milioni, +2,0% rispetto al 2014) hanno un reddito medio di 9.633 euro (-1,8% rispetto all’anno precedente). Il reddito medio del lavoratore dipendente è pari a 20 mila e 690 euro, mentre quello d’impresa è 19.990 euro, 3,4% in meno rispetto al reddito complessivo medio. Quello da lavoro autonomo (38.290 euro) è quasi il doppio. Tuttavia non viene specificato il tipo di lavoro autonomo: in questa macro-categoria finiscono tanto i consulenti e i grandi avvocati, quanto la piccola partita Iva che ha redditi infinitamente inferiori.

Per quanto riguarda le disparità tra Nord e Sud c’è un testacoda tra la Lombardia e la Calabria. La regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (24.520 euro), seguita dalla provincia di Bolzano (22.860 euro), mentre la Calabria ha il reddito medio più basso (14.780 euro). Nel frattempo crescono le tasse locali. Nel 2015 le addizionali regionali ammontavano a circa 11,8 miliardi di euro (+4,1% rispetto al 2014), una media di 400 euro (380 euro nel 2014). Il Lazio è la regione dove si paga di più (620 euro), poi viene il Piemonte (510 euro). A Bolzano si paga meno (230 euro), Basilicata e Sardegna (entrambe a 270 euro). L’addizionale comunale ammonta è pari a 4,7 miliardi di euro, aumentata del 5% rispetto al 2014, importo medio pari a 180 euro. Anche in questo caso il Lazio è in testa: 250 euro. La provincia autonoma di Bolzano è ultima con 60 euro. Il bonus degli 80 euro è servito anche a pagare l’aumento di queste tasse.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento