C’è solo un capitano
Burkina Faso 37 anni fa veniva assassinato Thomas Sankara, leader del «Paese degli Uomini Integri». Una rivoluzione tradita e un’eredità usurpata dalla giunta militare oggi al potere
Burkina Faso 37 anni fa veniva assassinato Thomas Sankara, leader del «Paese degli Uomini Integri». Una rivoluzione tradita e un’eredità usurpata dalla giunta militare oggi al potere
Il suo volto è ovunque per le strade di Ouagadougou. Sui cartelloni pubblicitari e sulle insegne dei negozi, dipinto sui muri e stampato sulle magliette. Persino sui segnali stradali che invitano a rispettare il codice della strada.
A 37 anni dal suo assassinio, il Burkina Faso riscopre Thomas Sankara, padre del «Paese degli uomini integri». Ma la figura che emerge è lontana dal mito del «Che Guevara africano» e, al suo fianco, c’è sempre un altro volto: quello del capitano Ibrahim Traoré, presidente del paese dal golpe del settembre 2022.
DOPO I QUASI TRENT’ANNI di oblio imposti dal regime di Blaise Compaoré, l’uomo che nel 1987 ne ordinò l’omicidio e che ha governato il paese fino al 2014, il Sankara di oggi ha tolto gli abiti del rivoluzionario per indossare quelli del leader nazionalista. Più simile a un feticcio agitato a uso e consumo della propaganda di un regime fragile, Sankara è la base sulla quale Ibrahim Traoré legittima il suo potere. Si proclama suo erede e la narrazione della giunta è tutta concentrata nella costruzione di parallelismi tra i due.
Entrambi militari, entrambi con il grado di capitano. Entrambi saliti al potere con dei golpe che li hanno portati a ricoprire il ruolo di presidente a soli 34 anni. Nei suoi discorsi, poi, Traoré non dimentica mai di citare Sankara e la tv di stato definisce «sankarista» ogni decisione presa dal governo.
Panafricanismo e anti-imperialismo sono i temi che legano i due capitani. Ma i discorsi vengono declinati in maniera differente. Ogni riferimento ideologico di stampo socialista e marxista scompare, così come scompare l’attacco di Sankara a «quei poteri che opprimono l’Africa» e che «sono gli stessi che opprimono le masse popolari in Europa». Quello che resta è solo una retorica di odio nei confronti dell’Occidente e dei suoi valori moralmente corrotti, una mera riedizione della narrazione propagandata oggi dal Cremlino.
E INFATTI, PER LE STRADE di Ouagadougou, anche le bandiere della Russia sono ovunque. Suggellano la nuova alleanza tra Mosca e gli stati del Sahel: Burkina Faso, Niger e Mali. L’anti-imperialismo di oggi è a fasi alterne, chiude le porte all’occidente ma le spalanca alla penetrazione russa in ogni campo: da quello economico a quello militare, da quello minerario a quello energetico. Non c’è quindi da stupirsi se, nel giugno del 2024, quando l’esercito sembrava sul punto di deporre Traoré, oltre cento mercenari russi dell’Africa Korp, ex Wagner, sono atterrati in tutta fretta a Ouagadougou, evitando un nuovo golpe.
SANKARA, INVECE, voleva un Burkina Faso indipendente e autonomo. Era pronto a rifiutare ogni «aiuto che possa generare un ricatto» e non esitò a criticare le politiche di cooperazione dell’Unione Sovietica. Ma quando, la scorsa primavera, alcuni giornalisti e associazioni hanno provato a ricordare le posizioni di Sankara con un appello pubblico che esortava Traoré a «non essere schiavo di consorterie straniere», la risposta del regime è stata chiara e i promotori del testo sono stati prelevati dalla polizia, per poi scomparire nel nulla.
Secondo le organizzazioni internazionali, sono almeno trenta i giornalisti scomparsi solo nei primi sei mesi del 2024. Tra di loro anche chi ha denunciato la corruzione dei funzionari pubblici e dei militari. Di questo tema è vietato parlare, con buona pace di Sankara, della sua lotta alla corruzione dei colletti bianchi e dei suoi celebri giri per i ristoranti del quartiere ministeriale di Koulouba alla ricerca degli impiegati “scansafatiche”.
MA A SCOMPARIRE sono anche le idee del «Che Guevara africano». Appena salito al potere, Sankara lanciò un’imponente campagna di alfabetizzazione e vaccinazione. Oggi, ai quasi tre milioni di sfollati interni a causa della guerra con i jihadisti, gli unici servizi sanitari e scolastici offerti sono quelli dei programmi di aiuto umanitario internazionale.
Sankara era un convinto femminista e non esitò ad attaccare le strutture tradizionali della società burkinabè, «basate su millenni di sfruttamento della donna». Oggi quelle stesse strutture sociali sono alla base del consenso del capitano Traoré, e i suoi ministri sono pronti a esprimersi in difesa di pratiche come la mutilazione genitale femminile, ancora diffusa nel paese.
SANKARA ERA ANCHE un ecologista, e definì il capitalismo «il piromane delle nostre foreste». Durante i suoi quattro anni alla guida del paese fece piantare milioni di alberi, uno per ogni matrimonio, funerale o nuova nascita, e cento per ogni villaggio. Oggi, in una delle aree del pianeta più colpite dal cambiamento climatico, la tematica ambientale è semplicemente assente.
Nonostante la carriera militare, Sankara era anche un pacifista. Ridusse il budget per l’esercito e utilizzò i soldati per dissodare campi da redistribuire agli agricoltori. Oggi invece, con il conflitto contro i jihadisti, l’esercito assorbe la maggior parte del bilancio statale e il governo è sempre pronto ad acquistare nuovi droni e blindati per creare «l’armata più forte del continente africano».
E proprio nella gestione del conflitto interno appare la più drammatica differenza tra i due capitani. Sankara lavorava all’unione delle oltre 60 etnie che vivono nel paese, scelse di sostituire la denominazione coloniale di Alto Volta con le parole «Burkina» e «Faso», prese dalle due lingue più diffuse, il mossi e il dioula, e per chiamare gli abitanti scelse la parola «burkinabè», con il suffisso -bè inserito per includere anche la lingua peul.
OGGI, INVECE, L’UNIONE tra le etnie del Burkina Faso si fortifica con l’identificazione di un nemico interno. Sono proprio i Peul, abitanti delle aree desertiche e terza etnia del paese, ad essere apertamente accusati dal regime di Traoré di sostenere i terroristi. E mentre si moltiplicano i report di ong internazionali sui massacri dell’esercito regolare contro i villaggi peul e la repressione prende sempre più la forma di una vera e propria pulizia etnica, allora tornano alla mente le parole di Thomas Sankara: «Un militare senza una formazione ideologica è solo un criminale in potenza».
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