Caterpillar non vuole stoppare i licenziamenti: governo irritato. I sindacati: la mobilitazione va avanti
Vertenze Irrisolte La multinazionale che vuole chiudere subito assicura solo un anno di cassa integrazione e parla di tre interessamenti. Fim, Fiom e Uilm: irricevibile. Il presidio permanente davanti alla fabbrica va avanti
Vertenze Irrisolte La multinazionale che vuole chiudere subito assicura solo un anno di cassa integrazione e parla di tre interessamenti. Fim, Fiom e Uilm: irricevibile. Il presidio permanente davanti alla fabbrica va avanti
Il muro opposto dalla Caterpillar alla richiesta dei sindacati di stoppare la chiusura dello stabilimento di Jesi e bloccare i 270 licenziamenti previsti ha irritato anche il ministero dello Sviluppo Economico e quello del Lavoro. Sono «proposte irricevibili» quelle ricevute venerdì pomeriggio al primo tavolo andato in scena via webcam su convocazione del Mise: da quando lo scorso 10 dicembre il direttore Jean Mathieu Chatain ha comunicato l’intenzione di sbaraccare e buttare fuori tutti i lavoratori, di fatto, la trattativa non ha ancora fatto passi avanti, la posizione di Caterpillar non è mai cambiata e ormai manca meno di un mese alla dead line del 23 febbraio. Le uniche speranze riguardano la vendita della fabbrica: la settimana scorsa una delegazione della lombarda Duplomatic si è fatta vedere a Jesi e Caterpillar ha chiesto loro di presentare entro il 14 febbraio una manifestazione d’interesse. Ci sarebbero poi altre due aziende potenzialmente interessate all’acquisto dello stabilimento marchigiano e la loro visita è attesa da qui ai prossimi giorni.
Per quello che riguarda il futuro dei lavoratori, sordi ad ogni richiesta di stoppare i licenziamenti, Caterpillar ha offerto un periodo massimo di dodici mesi di cassa integrazione durante i quali viene assicurata la disponibilità a cercare un investitore che acquisisca l’azienda e assorba il personale. Frasi di circostanza: la proposta della multinazionale americana è ben al di sotto il minimo che sarebbe lecito aspettarsi in una situazione del genere. Fiom, Fim e Uilm hanno ovviamente rispedito al mittente la proposta, dicendosi «indisponibili a sottoscrivere un accordo che fin da ora preveda licenziamenti senza impegni alla reindustrializzazione concreti e vincolanti».
Adesso le prospettive della trattativa sono incerte: i sindacati pretenderanno di essere costantemente informati delle vicende legate alla vendita dello stabilimento jesino, ma al momento è difficile scorgere spiragli per un accordo soddisfacente. Tra le tante assemblee che continuano ad andare avanti, comunque, l’idea comune tra i lavoratori è di proseguire la lotta fino in fondo: il presidio permanente resterà attivo davanti ai cancelli della fabbrica e non si escludono nuove manifestazioni di piazza.
La decisione di chiudere a Jesi non è arrivata a causa di un calo della produzione o delle commesse, ma da spietate ragioni di mercato: delocalizzando la produzione all’estero, Caterpillar stima che potrebbe risparmiare tra il 20% e il 25% sul prezzo di ogni singolo cilindro fabbricato nelle Marche. Un rovescio non era previsto: il giorno dell’annuncio di Chatain, i sindacati si aspettavano di discutere della stabilizzazione di alcuni precari e nessuno avrebbe mai inserito Caterpillar nella lista delle fabbriche a rischio chiusura o particolarmente provate dalla crisi.
Si parla pur sempre della più grande azienda del mondo nel settore dei macchinari da produzione, con 150mila dipendenti e un fatturato da 41 miliardi di dollari e un utile di quasi 3 miliardi nel 2020.
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